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martedì 31 dicembre 2013

Un ingrediente per due: la lenticchia


Mentre scrivo mi chiedo con che faccia si possa pubblicare una ricetta subito dopo Natale quando tutti sono ormai satolli e solo a vedere un panettone incartato vien la nausea.

Perché va bene che il Natale non è più quello di una volta e che ormai si può mangiare tutto tutti i giorni ma alla fin fine Natale è sempre Natale come d'altronde domenica è sempre domenica - che se domenica fosse lunedì sarebbe una gran ciulata - e io mangio appunto quello che non mangio durante il resto dell'anno anche se so che potenzialmente potrei farlo e ciò mentalmente mi tranquillizza perché mi permette di prendere porzioni normali - di 15 portate ma porzioni normali - che se davvero mi toccasse aspettare un anno per rivederle mi premunirei e ne mangerei il doppio, non lo faccio.
E se non avete capito a che cosa è riferito il non lo faccio non chiedetelo a me perché non lo so più manco io.

Comunque, a proposito di cose che mangio solo a Natale ma che potrei mangiare sempre ma che invece non mangerò più, c'è il cappone. 
Che quest'anno ho tentato di comprare in un allevamento etico. 
Che nel momento stesso in cui ho aperto la bocca per chiedere se l'avevano, con la mano stavo già cercando a tastoni la pala che tengo in borsa per emergenza dato che a far figure di merda ci sono avvezza. 

Tipo quella volta in cui chiesi come mai  nella foto di compleanno al ristorante una cameriera era affettuosamente abbracciata alla festeggiata e mi fu risposto che non era mica la cameriera ma la zia, oppure quando chiesi chi mai avrebbe potuto comprare quella macchina che faceva così tanto cagare e mi fu risposto ce l'ha mia madre e così via. 
E potrei andare avanti ore ma anche no.

Tornando ai volatili, non voglio smettere di mangiare il cappone solo per evitare altre figure del cazzo nel nuovo anno ma, soprattutto, dispiacere per la sua virilità a parte, perché non mi è ancora esattamente chiaro il motivo per il quale si debba castrare un pollo per farlo ingrassare a dismisura quando poi tocca cuocerlo per ore e ore per eliminare tutto il grasso. 
Ma allora sarà mica uguale comprare due polli normali?

E con questo spunto di profonda riflessione vi lascio all'ultima puntata della rubrica "un ingrediente per due" e vi saluto augurandovicisivivici scaramanticamente che questo nuovo anno in arrivo sia meno merdoso del precedente anche se tanto già so che domani sarà uguale a oggi e dopodomani a ieri e domani l'altro meno di giovedì ma più di martedì. 

E no, non vi farò nessun elenco di lamenti (tranne dirvi che per stare in tema con la merda ho scampato per un soffio di far capodanno con le emorroidi, nome che già onomatopeicamente fa rabbrividire. E non fate quelle espressioni lì che il gnao ce l'ho mica solo io) anche se so che le frigne fanno audience, perché ognuno c'ha già i propri cazzi amari a cui pensare e di solito sono più che sufficienti quelli per non aver voglia di sorbirsene altri.

E ora andate in pace.
Ci leggiamo l'anno prossimo.

Grazie anche stavolta a Comandante Amigo che mesi fa entrò in sordina per darci una mano con una scheda ed invece l'abbiamo fregato e gliele abbiamo poi fatte fare tutte. 


"La lenticchia è una pianta leguminosa nota ed utilizzata sin dall'antichità. E’ stata una delle prime piante ad essere utilizzata in agricoltura a partire dai tempi della ricca e verde Mesopotamia.

Trovo che il suo nome scientifico sia un vero e proprio invito alla cultura gastronomica slow: Lens culinaris!



Ricca di proteine e di ferro, questa leguminosa è una pianta annuale erbacea con foglie alterne, composte e pennate, terminante con un viticcio (il ricciolino terminale che troviamo ad esempio nelle viti). I fiori sono di colore bianco o azzurro pallido ed a corolla. I frutti sono baccelli appiattiti contenenti due semi che possono essere di colore diverso a seconda della varietà di lenticchia con cui abbiamo a che fare.

La produzione mondiale non è elevata ma questo prodotto è molto utilizzato in tutte le ”cucine” del mondo ed è ora coltivato nelle aree a clima temperato e non cresce praticamente più allo stato selvatico.

A livello culinario le lenticchie vengono utilizzate secche e quelle a buccia spessa devono essere tenute in ammollo prima di essere impiegate. 

A livello di territorio italiano possiamo segnalare, fra le notevoli varietà: 

lenticchia di Castelluccio di Norcia, lenticchia di Colfiorito, lenticchia di Santo Stefano di Sessanio (che non è uno scioglilingua come la parola scioglilingua ma è un piccolo paese dell’Abruzzo), lenticchia di Ustica, lenticchia di Onano e lenticchia di Rascino nel Lazio, lenticchia di Altamura, lenticchia di Villalba in Sicilia, lenticchia di Ventotene e lenticchia di Valle Agricola (che non è uno scherzo ma un comune in provincia di Caserta e comunque lì la lenticchia ci si trova bene!).

Le lenticchie, forse per la loro forma che può ricordare quella delle monete, sono associate al denaro ed alla prosperità. Per questo motivo in molte zone d’Italia durante il cenone di San Silvestro, vengono proposte in accompagnamento a cotechino o zampone per augurare a chi le consuma un nuovo anno più fortunato e ricco. 

Io quest’anno non le mangerò al cenone di fine anno perché sono ricco di famiglia e fortunato dalla nascita e non ho bisogno di altro ma soprattutto perché sono riuscito a farmele cambiare in banca con banconote di carta! 

Scherzi e bischerate a parte, auguro a tutte voi lettrici e lettori del post, un anno pieno di gioia, amore ma soprattutto ricco di salute che è poi l’elemento fondamentale per raggiungere anche le altre cose!

Poi se siete scaramantici o se volete solamente rispettare le tradizioni, le lenticchie mangiatele pure al cenone, ma cercate di mangiarle anche durante il resto dell’anno perché sono buone e fanno bene. Poi non si sa mai… dovessero davvero portare la buena suerte!"


Ecco qui la mia ricetta e qui quella di Serena

Crackers di lenticchie verdi

Ingredienti per un certo numero di crackers:

100 g di farina di lenticchie verdi
mezzo spicchio d'aglio spremuto (ho scoperto lo spremiaglio! Gioia e gaudio)
mezzo cucchiaino di semi di cumino
4 cucchiai d'olio
acqua qubi

Mischiate il tutto fino ad ottenere un composto lavorabile.
Stendetelo ad un paio di millimetri di spessore, tagliate come volete e cuocete in forno ventilato a 140° C fino a doratura (circa 20-30 min).
Se volete, accompagnatele a qualche salsa anche se mi chiedo che razza di coraggio avete dato che siete già pieni come tacchini il 4 di luglio.
Tenete conto che la farina di lenticchie è amarognola quindi questi cosi potrebbero non piacervi (avevo scritto cagare ma ho fatto un check e siamo già a un cazzo e due merde così ho pensato per il momento potessero bastare).
Però il buonumore che vi metterà addosso il cantare a squarciagola "mi ricordo lenticchie verdi" compenserà tutto il resto.

giovedì 31 ottobre 2013

Un ingrediente per due: la carne bovina


Era da un po' che avevo in mente di provare qualche ricetta con il quinto quarto e mi son sempre chiesta se alla fine ce l'avrei fatta.
Perché insomma, un conto è mangiare un orecchio di maiale bello croccante che sembra una patatina, un conto cazzo è comprarlo e toglierli prima cerume e peli.
Idem con il cervello. Dicono sia tanto buono ma io una testa di agnello tagliata a metà con ancora ancora tutti e 16 i denti attaccati e l'occhio che mi guarda un po' strabico mi spiace, ma la lascio lì.
E che d'altronde non è mica colpa mia se sono nata nella generazione di quelli che credono che le uova nascano già in cartoni da sei.
So di essere totalmente incoerente, ma datemi un coniglio morto e spellato e senza testa e ci vedrò un arrosto.
Datemelo vivo e gli farò solo grattini.

Ciò non toglie che tutto il discorso di riuscire a rivalutare tagli meno nobili considerati quasi di scarto mi ha sempre appassionato. Sia per un discorso di gusti nuovi da scoprire, sia per una questione di rispetto dell'animale. 
Come dire: "ti faccio sì fuori ma prima ti lascio vivere una vita felice e poi cerco di non farti finire in scatolette di cibo _per cani e non_ e mi impegno ad utilizzare di te tutto l'utilizzabile cercando di godere appieno di ogni tua singola parte".

E ora chiamatemi pure Dio.
O Hannibal.

Ma non sul cellulare che ho poco credito.

E così ho anche comprato un libro. Offal. Inglese. Trovato solo online. Che prometteva grandi cose. Bella grafica, bella copertina, belle foto.
Per poi aprirlo e scoprire che i 3/4 sono ricette di tradizione Italiana che avrei potuto trovare benissimo nei libri che ho già a casa.
Fuck online shopping.

E quindi insomma, quando questo mese abbiamo deciso di parlare della carne ho pensato che non avrebbe potuto esserci occasione migliore per sperimentare qualcosa.
L'idea originale era quella di fare dei ravioli di lingua con del limone candito ma, quando al momento dell'acquisto della carne mi sono accorta che la lingua costava quanto un arrosto di reale mi sono chiesta allora di che razza di quinto quarto stessimo parlando e ho anche un po' maledetto tutti quelli che hanno fatto tornare di moda le frattaglie.

E poi ho visto lì di fianco la trippa di foiolo. 
Bella sfogliata. Bella pulita. Bella sbiancata chimicamente. Bella economica. 
E mi son detta che tanto in un raviolo lingua o trippa in fondo non avrebbe poi fatto tanta differenza. 
Mh.
E qual'è la morte della trippa? Stare coi fagioli. 
Ma io avevo solo dei ceci.
E dato che un'altra idea che avevo in testa da tempo era quella di provare a denaturare la farina di legumi in modo da renderla impastabile, non ci ho pensato due volte e ho fatto un test.
Anche se forse accendere il forno a 90°C per tre ore per soli 300 g di farina non è stata proprio una gran furbata....

E così son nati questi cappelletti. Leggeri, proteici, senza glutine, con pochissimi grassi.
Perché sì, la trippa in realtà, a dispetto del nome, è un taglio magrissimo. 

...E alla fine si scoprì che "ciao trippona" non era mai stato un insulto bensì un complimento.....


Prima della ricetta leggetevi però la scheda del Comandante che secondo me in pochi sono così ben preparati sui vari nomi delle bestie.

"La carne bovina che noi utilizziamo in cucina appartiene a mammiferi della famiglia dei Bovidae, rappresentati dal genere Bos e dalla specie Bos taurus.
I bovini sono animali erbivori ruminanti e come tutti i ruminanti sono caratterizzati dall’avere 3 prestomaci (reticolo, rumine e omaso) ed uno stomaco (abomaso) dove avvengono diverse fasi della digestione. La dieta di questi erbivori è svariata soprattutto se gli animali vengono allevati all’aperto (in alpeggio durante l’estate e nei pascoli pedemontani o di pianura durante le altre stagioni) e non in stabulazione fissa in maniera intensiva. Sulla metodologia di allevamento e benessere animale ci sarebbe da parlare per una giornata intera poiché poi quando noi cuociamo una semplice fettina di carne alla piastra e questa si riduce della metà e diventa dura come una suola di scarpa forse sarebbe il caso di chiederci da dove arriva questa fettina…

Oltre che per la razza, e l’Italia è regina di biodiversità anche in questo campo, la carne che utilizziamo deriva da animali di età differente che vengono chiamati con nomi differenti.
Per prima cosa parliamo delle razze. Fra i bovini esistono razze allevate per la produzione di latte (come la bruna alpina, la frisona e la jersey), per la produzione di carne (come la simmenthal,  la limousine, la charolaise, l’aberdeen angus, la piemontese o fassone, la chianina, la marchigiana e la maremmana) e quelle allevate con duplice attitudine (come la rendena, la bianca modenese, la podolica, la valdostana pezzata, la normanna e la rossa danese). In passato, e tutt’oggi in alcuni paesi dove la meccanizzazione dell’agricoltura è ancora inesistente o molto arretrata, esistevano razze tipicamente da lavoro come da noi in Italia la chianina, la maremmana e la piemontese solo per citarne alcune. Come detto sopra nel nostro paese esistono svariate razze anche molto rustiche (come la varzese, la pustertaler, la cabannina e anche la stessa maremmana) che hanno ancora una duplice ed a volte una triplice attitudine.

Senza addentrarci oltre nella suddivisione spesso solo sulla carta dell’attitudine di ogni razza, passiamo invece a parlare della suddivisione dovuta all’età dell’animale.
Il maschio viene chiamato balliotto dalla nascita fino alla prima settimana di vita, vitello fino al primo anno di età, manzo (se è castrato) o vitellone dal primo al quarto anno, bue (se castrato) o toro dopo il quarto anno di età.
La femmina viene chiamata vitella fino al primo anno di vita, manzetta se non ha ancora partorito ed è di età inferiore ai venti mesi, manza o giovenca tra il primo ed il terzo anno di vita e vacca se è di età superiore ai tre anni o se è sotto i tre anni ma in stato gravido. Il termine mucca è invece riferito al bovino femmina in genere ma è un dialettismo di origine toscana forse di derivazione onomatopeica o forse dai termini latini mulgere (mungere) e mugire (muggire).

Dagli esemplari allevati per la carne (ma ovviamente anche dagli altri volendo) si ottengono diversi tagli utilizzabili in ambito culinario per le più svariate preparazioni: dal taglio della coscia si ottengono codone, noce, sottofesa e girello, dal taglio della lombata filetto, controfiletto e carré, dal taglio della schiena  costata, dal taglio del collo e della testa si ottengono collo, lingua e testina, dalla spalla si possono avere cappello del prete e fusello, dai garretti gli ossibuchi, dal petto la punta di petto, dal costato si ottengono biancostato di reale e taglio reale e dal taglio della pancia biancostato di pancia e fiocco. Questi pezzi sono solo alcuni di quelli ottenibili e ovviamente a seconda della regione e assumono nominazioni differenti. 
Non dimentichiamoci poi che anche le interiora vengono utilizzate a scopi gastronomici: cervella, fegato, animelle sono le basi di un piatto tipico piemontese, il fritto misto alla piemontese e la trippa (che altro non è che parte degli stomaci e non dell’intestino come molti credono) sono comunemente utilizzate in molte ricette tradizionali della cucina regionale italiana (ad esempio i trippai fiorentini che preparano il caratteristico panino col lampredotto, che rientra tra i cibi di strada ora tanto ricercati, rappresentano una piacevole tradizione legata ai piatti poveri del passato).

La raccomandazione che mi sento di fare è quella di utilizzare possibilmente carne italiana derivante da animali allevati in maniera consapevole e preferibilmente a stabulazione libera che magari effettuano la transumanza o l’alpeggio in maniera che possano cibarsi delle più svariate qualità di erbe che poi andranno a dare determinate caratteristiche anche alla carne.
  
ANCHE SE SO CHE AVRESTE VOLUTO CHE VI PARLASSI DEL VITELLO DAI PIEDI DI BALSA… MA PAZIENZA!!!"

Ecco qui la mia ricetta e qui quella della Serena.

Cappelletti di farina di ceci e trippa

Ingredienti per 4 persone

300 g di farina di ceci denaturata (passata in forno a 90°C per 3 h)
300 g circa di trippa di foiolo
due cucchiai di salsa di pomodoro
una cipolla media
due limoni
qualche chiodo di garofano
due foglie d'alloro
olio extravergine
sale
un pizzico di pepe nero
un paio di cucchiai di formaggio tipo Grana

Sminuzzate la cipolla e mettetela in una pentola con un po' d'olio sul fondo a fuoco minimo che ormai lo sappiamo che il soffritto sbruciacchiato è cancerogeno oltre a non usarsi più dagli anni '90 e fate andare piano piano fino a quando non sarà diventate trasparente.
Preparate la trippa. Giuro. Non fa così schifo come sembra. Non è viscida e di certo i puntini in rilievo non sembrano delle papille gustative.
Sciacquatela bene sotto l'acqua e tagliatela a pezzetti. Buttatela nella pentola, aggiungete un limone tagliato a metà, il pomodoro, i chiodi di garofano, l'alloro e un pizzico di sale.
Coprite e fate andare per almeno un paio d'ore aggiungendo ogni tanto un goccio d'acqua se necessario.
Preparate la sfoglia impastando per bene la farina di ceci con due cucchiai d'olio e un pizzico di sale.
Quando la trippa sarà ben cotta, morbida e asciutta (se non lo è fate in modo che lo sia) togliete gli aromi e versatela nel bicchiere del frullatore frullando fino ad ottenere un composto morbido e cercando di non pensare al fatto che aggiungendo un po' di latte si potrebbe ottenere un milkshake.
Non preoccupatevi di ottenere una poltiglia perchè ciò non avverrà essendo la trippa abbastanza tenace e gommosetta.
Stendete la sfoglia il più sottile possibile fino a vederci attraverso ma non per i buchi, tagliate dei quadrati di circa 5-6 cm per lato, adagiate al centro di ognuno una pallina di ripieno e chiudete a cappelletto.
Cuocete per 3-4 minuti in abbondante acqua salata, scolate e condite con olio extravergine, la buccia grattugiata dell'altro limone, pepe nero e un po' di formaggio.
Servite senza dire cosa c'è dentro che sennò non li mangerà nessuno.


mercoledì 10 luglio 2013

Non chiamateli gnocchi alla romana


Ingredienti per 2 persone (ma anche 3):

200 gr di farina di lenticchie verdi
500 ml di acqua
una manciata di foglie di basilico
una manciata di mandorle tostate
sale e olio qubi.

Non chiamateli gnocchi alla romana.
Perchè infatti non c'entrano niente.

Ve lo dico, ci sono un po' di cose che devo fare da tempo e che mi voglio levare dalla lista dei to-do prima che torni un altro settembre e io rinizi con le solite menate dei rimorsi rimpianti buoni propositi e bla bla bla.
Che sono estremamente pigra e che mi nasconda sempre dietro al "sono sempre presissima" già lo si era capito, quindi nessuno si stupirà del fatto che a distanza di tre mesi io Finalmente pubblicizzi il Favoloso Fantasmagorico e Fantastico magazine con il quale collaboro ideato da quelle tre Fighissime donne quali sono Federica, Francesca e Fausta.
E non lo dico perchè ci sono pure le mie ricette e per far la solita lecchina di sta cippa, ma solo perchè è vero. 
Quindi, se non l'avete ancora sfogliato, prendetevi cinque minuti per leggere Threef, che tanto che non avete tempo non ci crede nessuno.

La seconda cosa che devo sottolineare è il contest di Siena. 
Riguardatevi dalla Patty il post, le scadenze e le info che se avete un blog e non partecipate poi vi meno.
E già che ci siete scaricatevi pure la App che trovate qui affianco.
Che non si poteva non fare dato che si sa che c'è una App per tutto.

La terza cosa riguarda questo post, che avevo promesso da mesi di dedicare alla mia amicollega, che chiamerò per comodità Sebastian (per non dire zampogna o vacca o bruttoculopeloso, nomignoli che usiamo abitualmente in modo affettuoso), che mi sopporta quotidianamente da oltre sei anni e che praticamente vedo più di mia madre.
E le dedico sto post non tanto perchè le voglio bene (ah ah ah. Credici), quanto perchè porcatroiasonoseicazzodianni, e dico S-E-I, che mangi i legumi come contorno all'hamburger solo perchè non ti sembrano un piatto! 
Ma perdio! Ma possibile che non hai ancora capito niente??! 
Nonostante tutti i link, i post, le spiegazioni che ti ho dato, com'è possibile che siamo ancora all'ABC??!
E quindi questo piatto è per te. 
E non il sole che splende a luglio e i cani e ogni cosa che c'è (a meno non ci si riferisca a scottature e merde).
E' per te un altro piatto unico light e completo (ma se ci metti un po' di cereali è meglio, anche se ormai dovresti saperlo) che ti farà sentire meno in colpa quando poi ti ammazzerai di kinder delice fredde di frigo.

Per preparare questi specie di...di? Gnocchi? Frisbee? Dischi volanti? Ho preso ispirazione dalla ricetta del pane e panelle che ho visto su un libro di Jamie Oliver che ho a casa.
Anche se il perchè io abbia in giro un volume di ricette della tradizione italiana scritto da un Inglese e per giunta abbia il coraggio di consultarlo, ancora mi sfugge.
Comunque, si diceva che ho visto la ricetta delle panelle. 
Però, non volendo friggere e non avendo in casa farina di ceci ma solo farina di lenticchie verdi (ciao Marcella Bella), ho tentato con quella.
Che non c'entra una mazza ma che fa tanto Nigella con cose del tipo: "eh, in questa ricetta ci vorrebbe il prezzemolo ma ho solo del basilico e ci metterò quello che tanto è verde uguale". 
Eh, Nigella, meno male che non avevi in casa solo chessò, un'azalea.

Per fare questi affari, mescolate 200 gr di farina di lenticchie con mezzo litro d'acqua (da aggiungere pian piano che sennò fa grumi) e un pizzico di sale.
Mettete tutto sul fuoco basso, in un pentolino ovviamente, e cuocete, sempre mescolando con una frusta, per circa 10/15 minuti fino a che il composto si addenserà tipo una polenta.
Se poi non avete mai fatto la polenta peggio per voi.
Togliete dal fuoco e versate il tutto da una qualche parte (io ho usato una teglia rettangolare da 26x20 cm foderata di carta forno) fino ad ottenere una roba alta circa un cm scarso. 
Per non dire 0,8 cm. 
Anche se poi pure 0,7 va bene.
Fate raffreddare per almeno una mezz'ora se è inverno e 45 min se è estate poi, usando un bicchiere un coppapasta uno stampino una tazza, ricavate dei tondi (i miei son da 5 cm di diametro).
Metteteli in una teglia leggermente unta d'olio e condite con quello che volete.
Io, che di norma opto per la dieta dissociata, nel senso che mi dissocio dalle diete, ho preparato una salsa frullando una manciata di foglie di basilico con olio extravergine e una manciata di mandorle tostate salate (se vi capitano sotto tiro, provate quelle del marchio Solidale Italiano che si trovano nelle botteghe Altromercato, che sono di una bontà suprema).
Ed ho poi aggiunto pomodorini, anche se questo lo si vedeva nella foto e non c'era bisogno di dirvelo.


domenica 30 giugno 2013

Un ingrediente per due: il lampone


Più di un anno fa a quest'ora stavo scrivendo il post sulla pavlova.
Allora ero un anno più giovine, facevo delle foto col culo, scrivevo stronzate, facevo delle ricette banali ed ero seduta a scrivere al freddo e al gelo dato che eravamo in febbraio.
Ora, a distanza di un anno, è ancora tutto immutato. Faccio ancora delle foto un po' col culo, sono seduta a scrivere al freddo e al gelo, dico ancora stronzate e faccio ancora ricette banali.
Nella vita è bello avere dei punti fermi.
E' solo che quando ho avuto in mano questi lamponi così succosi, non mi è proprio venuto in mente niente di meglio da fare. A parte farli fuori direttamente dal cestino.
Anzi, a dir la verità mi era pure venuta una mezza idea di provare ad abbinarli a delle carne, tipo un filetto di maiale o dell'agnello e farci una salsa.
Ma poi non avevo voglia di mangiare carne e quindi ciupa.
E poi era da un po' che avevo voglia di provare l'abbinamento panna lamponi semi di anice visto qui dalla mia amica Sarah, che dice spesso un sacco di minchiate (love u ;-)) ma a volte anche un po' di cose interessanti, e così ne ho approfittato.
E dato che ultimamente sono nel trip della meringa, ho messo tutto insieme e ve l'ho proposto.
E i semi di anice in effetti danno quel nonsochè in più che ci sta proprio alla grande.

Ora però vi saluto che ho tanto sonno e tanto poi c'è la scheda che fa volume.
Che per altro vi consiglio di leggere attentamente perchè l'ha scritta Comandante Amigo ed è molto divertente.

"Il lampone, il cui nome scientifico è Rubus idaeus (come mi sento molto lo Zichichi Crozziano nello scrivere scientifico e pensare a “che cosa è la sciiienza…?”. Ma d’altronde se non fossi un poco squilibrato anche io come potrei preparare schede per queste due matte che osano poi metterle sopra i loro blog…?) appartiene alla Famiglia delle Rosaceae (come la rosa ), al Genere Rubus (come il rovo ) ed alla specie idaeus (come… il lampone europeo!).

Questa specie, che non è l’unica ad essere coltivata nel nostro paese, è invece l’unica che si trova spontanea. Si presenta come una pianta cespugliosa biennale, la cui sopravvivenza è data dal continuo rinnovo dei polloni che si ha a partire dalle radici. Le foglie sono caduche, i fiori sono portati su racemi e i frutti, che si generano dall’impollinazione dei fiori, sono un’aggregazione di drupeole e sono chiamati more (come la more delle more…) e hanno forma più o meno globosa.

La fioritura avviene tra maggio e giugno (a seconda delle zone climatiche e a seconda delle annate…) e la maturazione del frutto si ha conseguentemente da giugno, luglio a tutto agosto.

Il lampone europeo ha frutti di colore rossastro, ma esistono anche varietà con colorazioni più chiare, bianco-giallastre, il sapore può essere dall’acidulo al dolce a seconda della varietà e del grado di maturazione. Essi vengono utilizzati in svariate maniere, dal consumo fresco, alla trasformazione in marmellate, sciroppi e altro, all’utilizzo in cosmesi e medicina grazie alle proprietà diuretiche, diaforetihe e protettrici vaso-capillare.

Così finisce il mio racconto sul lampone. Non saprei proprio che altro dire… non ho piacevoli (?) storielle da raccontarvi o aneddoti su questo frutto e d’altronde il mio è sempre stato un pensiero molto essenziale, alla Ungaretti o alla Montale… poi se un giorno le nostre due bloggers torneranno ad utilizzare ingredienti che mi consentiranno di sviluppare un tema più descrittivo, alla Zola o alla Tolstoji, bè, allora, vi tedierò nuovamente con schede più dettagliate!"


Ecco qui di seguito la mia ricetta e qui quella della Serena:

Ingredienti per 12 pavlovine di circa 10/12 cm di diametro

250 gr di albumi
500 gr di zucchero
400 ml di panna
375 gr di lamponi
semi di anice

Montate gli albumi con lo zucchero fino ad ottenere un composto solido ma non troppo.
Buttate delle cucchiaiate di meringa su una teglia e cuocete a 120° ventilato per circa 3 ore, tenendo lo sportello leggermente aperto tipo con un cucchiaio infilato.
Montate la panna.
Assemblate le pavlove.


venerdì 31 maggio 2013

Un ingrediente per due: l'acciuga


Del corso che ho fatto da poco con la Serena, già lo sapete. 
E se non lo sapete, ma forse lo sapete, sappiatelo (cit.).

E se avete letto i nostri post, saprete anche quanto ci sono piaciuti i piatti che abbiamo assaggiato in tale occasione.
Difatti proprio per questo, in via del tutto eccezionale, questo mese proponiamo entrambe la stessa ricetta.
La scelta è caduta sul risotto di Ugo Alciati perché, tra tutti, è quello che ci ha più colpito favorevolmente per la semplicità degli ingredienti, per la purezza dei sapori e per la rapidità di realizzazione.
E poi perché, insomma, avevamo la scheda dell'acciuga e sto risotto ci cascava a fagiolo.
Ma forse no, forse prima abbiamo scelto la ricetta e poi l'ingrediente.
E' nato prima l'uovo o la gallina?
E se non lo sapete, e forse non lo sapete, non lo saprete mai.

Nel realizzare questo risotto devo ammettere che ho scoperto pure due cose. 
La prima è che finalmente ora risotto (voce del verbo risottare) come Dio comanda (ma come comanda Dio?), la seconda è che ho troppa poca stima di me.
Perché, ora so che non mi crederà nessuno, ma io vi giuro che, potesse cascarmi ora in testa il muro di cartongesso della sala, io il risotto cucinato con sola acqua lo faccio da tempo.
Ma in segreto, senza ammetterlo a nessuno, e solo quando non ho ospiti.
Ma l'ho sempre tenuto ben nascosto perché ho sempre pensato fosse una grandissima eresia.
E invece cos'ho scoperto?? Che a volte fanno così anche i cuochi stellati.
Quanti anni passati inutilmente a star dietro a brodi di carne, di pesce, di verdure e di giuggiole...
Quindi ora, se non lo sapevate, ma forse non lo sapevate, sappiate che sì, il risotto senza brodo SI PUO' FARE!!! (Gobba? Quale gobba?! Lupo ululì, castello ululà)

Ora però leggetevi la scheda sull'acciuga redatta da Comandante Amigo e, dopo questa, la ricetta.

"Ecco, mi ritrovo a preparare la scheda sulle acciughe senza minimamente sapere cosa vi devo raccontare! Durante i miei studi, l’argomento che più si è avvicinato alle acciughe, è stata una lezione di botanica sistematica su un’alga marina da cui si ricava l’agar agar!

Comunque non è vero che non so proprio nulla sulle acciughe o alici che dir si voglia: qualcosa so (poco) e qualcosa trovo (grazie a wikipedia). L’acciuga, il cui nome scientifico è Engraulis encrasicolus (facile no?), è un pesce che definiamo pesce azzurro. Il pesce azzurro è quello di piccola pezzatura il cui costo è generalmente ridotto per la grande quantità di pescato e si caratterizza anche per una colorazione dorsale tendente spesso al blu, in qualche caso verde e da colorazione ventrale argentea. L’acciuga è una specie pelagica, cioè vive in mare aperto e in profondità tranne che nel periodo di riproduzione (la primavera) quando si avvicina alle coste e risale in superficie. È proprio durante questo periodo che le acciughe vengono facilmente pescate e che ancora più facilmente possono raggiungere le nostre tavole!

Ora che le mie conoscenze sono pressoché terminate e non trovando assolutamente giusto continuare a “scopiazzare” qua e la, posso raccontarvi alcuni aneddoti che comunque riguardano le acciughe.

Le acciughe, se non lo sapete, ma forse lo sapete, fanno il pallone: “Le acciughe fanno il pallone, che sotto c'è l'alalunga, se non butti la rete non te ne lascia una” così cantava De André raccontando di come le acciughe cercano di salvarsi la pelle dall’attacco del tonno alalunga finendo tra le reti dei pescatori…

Le acciughe, se non lo sapete, ma sicuramente lo sapete, sono fra gli alimenti preferiti di sereincucina: un bel panino col burro e le acciughe, le acciughe marinate, la pizza sardenaira o pissalandrea, le acciughe fritte o al forno… per lei non c’è modo in cui non possano essere consumate!

Le acciughe, se non lo sapete, e di certo non lo sapete, sono state per anni un simpatico nomignolo di un nostro amico: anni fa, quando questo nostro amico era più in carne, durante una cena a casa di altri amici alla vista di un vasetto di acciughe, colto da una fame improvvisa, urlò “acciughe acciughe!” e da allora il grido “acciughe acciughe!” lo ha accompagnato sostituendosi ogni tanto al suo vero soprannome, che è sempre un pesce: besugo (ma in questo caso dovuto all’allora somiglianza fisica col besugo televisivo!).

Dopo queste tre simpatiche e alquanto inutili informazioni vorrei citarvi una storia che mi ha sempre affascinato: quella degli acciugai della Valle Maira.

La Valle Maira, una delle valli occitane italiane, si trova in provincia di Cuneo ed è a mio avviso una della valli più belle di tutto il nord-ovest. Durante i tempi che furono, la vita in questa valle alpina, come in tante altre valli, era assai difficile soprattutto in inverno quando la neve cadeva abbondante e rendeva impossibile qualsiasi attività. Gli abitanti di questa valle, per lo più ragazzotti, terminati i lavori estivi scendevano verso la riviera ligure e francese a cercar di fare qualche altro lavoro che permettesse loro di sopravvivere.

Come nasce la storia degli acciugai non è sicura… la più accreditata narra che qualche commerciante di sale, per non dover pagare il dazio su quello che allora era un prezioso bene, avesse coperto dei barili pieni di sale con delle acciughe e che avesse poi scoperto che l’acciuga ed il sale bene si accostavano e che la vendita del nuovo prodotto poteva rendere di più che la vendita del sale e che tale attività era anche meno rischiosa…

Quale che sia l’origine sta di fatto che gli acciugai della Valle Maira si rifornivano di acciughe sotto sale nei porti della Liguria e poi erravano per la pianura piemontese e lombarda, di cascina in cascina, alla ricerca di compratori… era un lavoro assai duro ed infatti solo pochi stoici hanno continuato questa attività fino ai giorni nostri. Io vorrei ringraziare tutti coloro i quali hanno intrapreso questo lavoro, perché grazie alla loro faticosa attività hanno reso possibile la nascita di una delle pietanze chi più mi piace: la bagna caoda! Forse non tutti voi sapete di cosa si tratta, ma questa è un’altra storia e probabilmente un’altra ricetta cha magari serincucina ci proporrà in futuro!

Per approfondire la conoscenza dell’acciuga consultate wikipedia J e per approfondire la storia degli acciugai della Valle Maira potete andare a visitare i seguenti siti internet: http://www.fieradegliacciugai.it/ e http://www.confraternitadegliacciugai.it/."

E ora qui di seguito la mia ricetta e qui invece quella di Serena:

Risotto acciughe e ricotta di Ugo Alciati (la ricetta, non la ricotta)

Ingredienti per 4 persone:

280 gr di riso
50 gr di parmigiano reggiano
20 gr di burro per la tostatura
20 gr di burro per la mantecatura
120 gr di ricotta fresca
5 alici sott'olio lavate e leggermente battute al coltello (io ne ho messa qualcuna in più)
2 alicette fresche crude

Tostate per un paio di minuti il riso in una pentola con il burro quindi iniziate ad aggiungere poca acqua bollente leggerissimamente salata alla volta.
A fine cottura mantecate con il restante burro, il parmigiano grattugiato e le alici battute.
Mescolate la ricotta con un pizzico di sale (e pepe?? ci andava?? io un pizzico l'ho messo) e sbattetela per renderla un po' cremosa.
Disponetene un cucchiaio nel fondo dei piatti, coprite con il riso e decorate con mezza alice, ricordandovi di togliere la coda.
Non come ho fatto io. 
Che l'ho dimenticata.
Che chi ha visto Masterchef sa benissimo che tutto quello che si mette nel piatto deve essere edibile e non decorativo come negli anni '80.
Perchè Bastianich, sappiatelo, il risotto con coda di alice, non lo darebbe manco a suo cane!!!

***

PS vi ricordo che a Milano è in corso il Taste of Milano (se fosse stato il Taste of London ci sarebbe stato qualcosa di strano) che durerà fino a domenica.
Io andrò là stasera! Sappiatelo!



mercoledì 28 novembre 2012

Biscotti di quinoa e riso


Ingredienti per circa 8 biscottoni:

125 grammi di farina di quinoa
125 grammi di farina di riso integrale
125 grammi di burro di centrifuga
1/2 cucchiaino di sale fine integrale
130 grammi di zucchero grezzo chiaro
1 uovo

Mi sono fatta fregare per la seconda volta.

Ho ri-adottato il lievito madre. 
La prima volta me ne stancai dopo il primo utilizzo e lo diedi in affidamento a mio padre che lo accudì amorosamente per un anno finchè poi non si dimenticó di archiviarne la metà e lo ficcó per intero in una pagnotta. 
E da lì mi resi conto che forse non era ancora il caso fare figli. 
E nemmeno di prendere un cane.
Recentemente poi, vuoi la consapevolezza alimentare in via di acquisizione, vuoi un attimo di debolezza, l'ho accolto nuovamente in casa.
E pertanto ora ho un nuovo convivente che chiamero per comodità Gianantoniomariaconcetta. 
In lizza c'erano pure Brunantonio e Antonfortunato ma alla fine ho optato per il più semplice.
A dir la verità mi piaceva anche il suono onomatopeico di Ugo, ma già il mio pollo-avatar si chiama così e non volevo si ingelosisse.
E poi in ogni caso sarebbe stato un casino chiamarli con lo stesso nome perchè ogni volta sarebbero arrivati entrambi.

E quindi niente, mentre meditavo sul come usarlo si è presentata la Sonia col suo babà e la Robi con il suo contest.
Quindi, quale migliore occasione per presentare Brunantoniomariaconcetta al mondo?
Ecco, non questa. Dato che il primo tentativo di fare il babà consapevole è fallito miseramente.
Quindi alla fine ho virato su una ricetta più alla mia portata.

Ma torniamo un attimo indietro. Chi è la Sonia e cosa chiedeva il contest della Robi? Risponderò in ordine casuale sparso.
La Robi chiedeva di scegliere una food friend e di reinterpretare una sua ricetta. 
E quando ho letto le condizioni la prima cosa che ho pensato è stata: cacchio chissà quante foodblogger si incazzeranno per non esser state scelte da quelle che credevano fossero le loro migliori food-amiche e chissà quante food-amicizie si romperanno con questo contest.
E la seconda è stata: oddio, e io mo' chi scelgo??!
E così, per non fare un torto a nessuno, ho innalzato i miei pensieri a livelli superiori e ho puntato in alto scegliendo tra le foodblogger con la M maiuscola. 
Di quelle che non sanno manco che esisto, per intenderci.

E quindi alla fine ho scelto lei, la Izn o Sonia chedirsivoglia de Il Pasto Nudo.
Colei che seguo da quando esisteva il commodore 64 e dalla quale ho imparato e continuo ad imparare tantissimo.

E Sonia, volevo solo dirti che... 
Volevo tu sapessi cheeee
cheee non sono come vuoooi 
e non lo sarò maaaai 
ma credimi di averti a modo mio non finiiiroooò 
e a costo di bugiee e di cose poco miee
m'inventerò qualcosa che saprà portarmi a teeeeeeeeeeee.

Tipo scopiazzare i tuoi biscotti di quinoa e dichiarare al mondo il mio amore incondizionato per il tuo blog.

Per fare questi buonisssssimi biscotti peraltro senza glutine (per equilibrarci dopo aver preparato il seitan e per dar da mangiare ai poveri intolleranti rimasti digiuni) dovete mescolare il burro morbido con le uova e con lo zucchero (che io ho frullato per avere una frolla più fine), aggiungere la farina di quinoa precedentemente tostata in padella per qualche minuto, la farina di riso e un pizzico di sale.
Ecco, trattandosi di due farine senza glutine la frolla rimarrà croccante anche dopo varie manipolazioni quindi dateci dentro tranquillamente.
L'impasto che otterrete sarà un po' molliccio, quindi rovesciatelo sulla pellicola senza pvc, chiudetecelo dentro e schiacciatelo per bene all'altezza di mezzo centimetro in modo sia già pronto da tagliare senza ulteriori lavorazioni.
Fatelo riposare in frigo per una mezz'oretta, tiratelo fuori, fate le formine e cuocetele nel forno caldo a 180° per circa 10 minuti fino a doratura dei bordi.
Fate raffreddare i biscotti e se li volete ancora più croccanti rinfilateli in forno per ulteriori 5 minuti.

E sì, so che vi state chiedendo da ore che cosa mizziga ci sia scritto su quei cuori dato che pare vi ci siano stampati dei codici captcha, ma invece no, c'è scritto Food Friend, presbiti!

PS sì, i cuoricini di zucchero li ho fatti io!

Con questo post ovviamente partecipo al contest Foodfriends della Roberta de Il senso gusto.





Ne approfitterei inoltre per ringraziare, con sommo ritardo, la gentilissima Chiara del bellissimo blog La cucina dello stivale che mi ha donato tipo ehm cough! cough!! un mese cough! fa cough! il premio quale blog 100% affidabile.

Anche se mi chiedo come mai mi consideri un blog senza un grande pubblico quando invece in realtà tocco i 15.000.000.000 di visitatori al giorno.....

Il premio chiede di spiegare il motivo per il quale ho aperto il blog.
Ebbene, io l'ho aperto per partecipare ai contest e perchè volevo ricevere un sacco di regali. E questo post ne è l'ennesima prova.
Inoltre chiede di segnalare a mia volta cinque blog che ritengo affidabili e meritevoli di menzione, o minzione, se fanno pisciare dal ridere.
Io in realtà ne avrei mooolti di più a cui fare pubblicità, ma mi sono limitata a selezionare solamente quelli che ritengo impazienti di ricevere questo premio dato che li conosco come particolarmente amanti delle catene di sant'Antonio.
Eccoli:

Ciboforme
Lattefiele
Asinochileggeancora
Ladridiricette
Ilsensogusto

Prendetene tutti e andate in pace.




lunedì 17 settembre 2012

Tenerina o...?!


Torta Tenerina

Ingredienti per una torta da 22/24 cm (a seconda di quanto la volete bassa o alta che poi è lo stesso):
200 gr di cioccolato fondente
100 gr burro
100 gr di zucchero
3 uova


La prima volta l'ho assaggiata sotto forma di tortino dal cuore morbido, che tempo fa andava un sacco di moda. 
Comodo e pratico. Lo prepari in monoporzioni, lo surgeli, quando vuoi lo ficchi in forno e lo cuoci per pochi minuti in modo da lasciare il cuore crudo. Morbido ma non cotto. Questo è il senso. 
Che non è mica che lo apri in due e cola per intervento divino.
Poi mi è passata davanti sotto forma di brownies. Un filo più asciutta, quadrata e con un po' di frutta secca.
Poi l'ho vista circolare in rete sotto il nome di Hermè. Che ci aggiunge un etto di burro e stringe lo stampo. 
Poi è transitata sotto il nome di Santin, che le ha solo cambiato il vezzeggiativo e l'ha chiamata Tenerella.
E infine l'ho assaggiata a casa di una Ferrarese ed ho scoperto finalmente chi era in realtà: la torta Tenerina.
Che ha proprio mille volti come il diavolo. Manca solo l'acqua santa.
Che volendo però qualche goccia ce la potete pure aggiungere.
E per provarvi che la Tenerina è davvero l'antenata di tutte le torte al cioccolato umidicce e poco cotte, ho provato a datare le singole ricette per risalire così alla più antica:
Tortino al cioccolato: Cameo cuor di Ciobar - 2005
Brownies: 1492
Hermè: 1961
Santin: 1966
Ferrara: primo insediamento fra il VII e l'VIII secolo
Tiè. A volte una data vale più di mille parole.

La mia versione, che avrei voluto chiamare Teneruccia (ma vi ho risparmiato la flessione), nasce da una lunga comparazione di ricette con più o meno burro, più o meno zucchero, più o meno farina, più o meno uova, più o meno latte, più o meno cotta, più o meno alta, più o meno stretta. 
Alla fine io ho scelto quella con meno tutto. Ovvero meno farina (anzi zero), meno uova, meno zucchero, meno burro (che oh, anche solo 100 grammi incidono sensibilmente sul mio didietro).
E il risultato è veramente veramente buono. Ancor più buono se lasciate riposare la torta per qualche ora al fresco e la spolverate di cacao amaro prima di servirla.
Il procedimento poi è davvero a prova di scemo. Solita massima resa per minimo sforzo.

Montate i tuorli con lo zucchero, fondete a bagnomaria il cioccolato insieme al burro, fatelo intiepidire ed aggiungetelo ai tuorli, montate gli albumi a neve ed aggiungeteli delicatamente al composto, versate l'impasto in una teglia rivestita con carta da forno e cuocete a 180° per 10/15 minuti. 

giovedì 26 luglio 2012

Gnocchetti di castagne all'aringa affumicata


Ingredienti per due persone:
180 gr di farina castagne
1 patata grossa
100 gr di aringhe (due filetti)
un pizzico di sale
olio extravergine
mezzo scalogno o cipolla rossa

Ho scoperto l'aringa affumicata. E mi chiedo come ho fatto a vivere senza finora. Me ne sono innamorata e adesso, conoscendomi, mangerò filetti di aringhe affumicate ogni giorno fino a quando non ne diventerò allergica. Poi finalmente me ne scorderò e passerò ad altro.
Ad essere onesta in realtà le aringhe le scoprii per la prima volta tempo fa, ma erano quelle intere sottovuoto. Secche come uno stoccafisso, con l'unica differenza che almeno non andavano ammollate per sei mesi. Che non vi dico quella volta che lo feci, lo stoccafisso. Lo tenni in acqua come da istruzioni per tipo 5/6 giorni cambiando l'acqua 2 volte al giorno, peggio che ad un pesce rosso vivo, e non intendo per la tonalità, ma alla fine anche dopo infinite cure e diverse ore di cottura, rimase duro come un comodino. Poi da qualche parte lessi che avrei dovuto picchiarlo con un martello per ammorbidirlo, ma io non ce la feci. Io sono contro la violenza. 
O perlomeno in senso generico, perchè ogni tanto del male a qualcuno glielo farei pure.
Tornando alle mie prime aringhe, quella volta erano talmente intere che ci trovai dentro pure tutto l'apparato riproduttivo con il bonus della sacca delle uova. Che capisco che magari ce l'hanno pure lasciata per farci un favore e per darci modo di poterla spacciare come bottarga tarocca, ma è stato più forte di me. Io tutte quei futuri pescetti lì, a pallini, e non nel senso dei pois, compressi insieme, avevo ribrezzo e dispiacere anche solo a toccarli. 
E so che suonerà strano sentirmelo dire dopo tutti i racconti splatter (Puppacena docet) sulla pulizia del pesce che vi ho fatto, ma anche a me ci sono cose alimentari che mi fanno elementarmente senso e che mi dispiace fare.
Io alla fine, ma anche all'inizio, sono una di quelle che se non ci fossero macellai e pescatori smetterebbe di mangiare carne e pesce. Io sono una di quelle che taglia la testa al coniglio morto raramente, nel senso che lo compro raramente intero, non nel senso che raramente la tolgo, e nemmeno nel senso che di solito è vivo, e ad occhi quasi chiusi. In pratica preferisco affettarmi un dito piuttosto che guardare coscientemente.
Io sono anche la stessa che la volta in cui il pesce da compagnia finì nel lavandino pieno di acqua insaponata per i piatti, pianse per giorni e giorni. E sono anche quella che rimase traumatizzata a vita dopo quella volta in cui da piccina raccolsi in giardino un merlo appena nato caduto dal nido e per tenerlo al caldo gli preparai ingenuamente un ricovero d'emergenza nella yogurtiera di mia mamma. Che poi scoprii, troppo tardi, che scaldava fino ai 50°.
Ma se nel caso del pesce rosso ammetto di essere stata piccola e stupida, per il merlo io sono certa la colpa sia stata del Piero. Oppure delle giovani marmotte. Perchè io sono sicura che se andassi a riguardarmi tutte le puntate di SuperQuark e a spulciarmi tutti i manuali, da qualche parte sicuramente troverei lo stronzo che consigliò, come primo soccorso, di mettere i cuccioli trovatelli in un posto caldo.

Tornando ai nostri filetti di aringa, dopo averli assaggiati ho pensato che il loro sapore sapido e affumicato ben si sarebbe sposato con quello dolciastro della farina di castagne. Così ho sperimentato questi gnocchetti, che poi sono quelli nella foto, anche se sembrano una salsiccia. 
Per chi non conoscesse questa farina, informo che è parecchio dolce e dopo un po' pure stucchevole. Indi per cui ottima per le diete, perchè dopo un po' non ce la si fa a finire il piatto. 
Personalmente ho comunque preferito non mischiarla ad altro per sentire bene il sapore ma volendo potete fare metà e metà con della farina di frumento o con delle patate schiacciate, al posto che metterle sottoforma di crema.
Per fare i gnocchi vi basterà mischiare la farina con circa la metà del peso in acqua, fino ad ottenere un composto lavorabile, stenderli a salamino, tagliarli a tocchetti e cuocerli in acqua bollente leggermente salata per circa 5 minuti da quando salgono a galla.
Per la crema di patate invece tagliate le carote a tocchetti. Muahahah ci siete cascati? E mettetele in un pentolino coperte a filo con l'acqua (io ho lasciato anche la buccia perchè avevo ancora le novelle che ce l'hanno sottilissima) e cuocetele per circa un quarto d'ora fin quando saranno morbide. Poi frullatele con il minipimer e regolate di sale e un filo d'olio.
Assemblate poi il piatto condendo gli gnocchi con l'aringa tagliata a tocchetti e qualche anello di scalogno crudo. 
Cercate di programmare questo piatto per un giorno in cui non avete appuntamenti, perchè sia le aringhe che la cipolla cruda a volte si ripresentano e rimangono insieme a voi per un po'. Ma solo a volte. Forse.

Anche con questa ricetta salata partecipo al contest di Barbara Get an AID in the KITCHEN, second edition

martedì 17 luglio 2012

Un gelato da sturbo


Ingredienti per 950 gr di gelato alle arachidi:
500 gr di latte intero
2 uova intere
200 gr di zucchero
150 gr di pasta di arachidi in purezza
5 gr di farina di semi di carrube
un pizzico di sale
Per le arachidi caramellate:
una manciata di arachidi
pari peso di zucchero

Dato che oggi si parla di gelato e quindi di formule matematiche, di calcoli e di freezer, ho pensato di raccontarvi qualcosa a tema, con annesso problema del giorno. 
Mi pre-scuso per eventuali errori e orrori di forma e sostanza ma d'altronde non sono mica Will Hunting.
Quesito:
indica quante sono le probabilità che le seguenti variabili casuali si verifichino nell'arco delle medesime 12 ore. Descrivi le eventuali conseguenze nel caso in cui le stesse si intersechino tra loro e trova il risultato x:

a+b+c+d+e = x
   365x0,5

variabile a: freezer pieno, stipato manco fossimo in tempo di guerra
variabile b: temperatura maggiore di 30° ma inferiore a 40°
variabile c: contatore che salta alle 8 del mattino a ciel sereno, senza il famoso fulmine
variabile d: sportello del freezer accostato, non chiuso
costante e: casa vuota per assenza lavorativa

Soluzione:
Le probabilità che tutte queste variabili si verifichino nelle medesime 12 ore sono pari a quelle che si hanno di vincere il superenalotto. Ovvero una su 5478654643154343154756.
Le eventuali conseguenze, non necessariamente in questo ordine, sarebbero:
crisi di pianto isteriche, inveizioni contro se stessi e gli altri, scomodamento dei vari santi, accuse e illazioni al gestore di energia elettrica, al produttore del freezer, al datore di lavoro, al meteorologo e alla commessa del supermercato e a tutti i presenti.
Il risultato x sarebbe invece pari a diverse ore di incazzatura così suddivise: 1 ora impiegata come sopra in sfoghi di primo soccorso, 2 ore per la cernita e salvataggio del salvabile, 2 ore per la cottura del salvato, 1 ora per lo stoccaggio dello stesso, 1 ora per lo smaltimento rifiuti, 1 ora per la pulizia e disinfettamento locali.

E nonostante la mia fervida immaginazione, come i più scaltri avranno già intuito, la suddetta situazione non è ahimè, immaginaria ma bensì l'incarnazione di uno dei peggiori incubi di una foodblogger, concretizzatosi una delle scorse sere.
L'emergenza per fortuna ormai è superata ed avrei anche potuto propinarvi per giorni una serie di ricette svuota freezer ma, dato che oggi mi sento magnanima, vi proporrò invece un gelato.
Sappiate che lo faccio solo per non perdere l'MTC di questo mese alla quale mi sono appena iscritta, e che da domani vi spiegherò invece come preparare una cena a base di spiedini congelati, scongelati, cotti, ricongelati e ricotti, o meglio di come riuscire a mangiarli senza perdere gli incisivi, oppure di come preparare un sugo di pesce buttando in una pentola una serie di esemplari misti semi congelati con del pomodoro, condirci della pasta, accorgersi che è venuto una merda e gettare tutto nell'umido.
Ma oggi invece no. Oggi parliamo di gelato. Ma non di un gelato qualsiasi. No, oggi parliamo di un gelato da sturbo. Ovvero: il gelato alle spagnolette.
Tempo fa vi raccontai della mia avversione verso la pasta di arachidi. Ebbene, ora mi sento in dovere di confessarvi che dietro le quinte c'è stata un evoluzione e che ho scoperto una nuova dipendenza. 
E' che forse mi sono solo accorta che il burro d'arachidi è come l'arte, che per apprezzarla bisogna metterla da parte. Difatti io l'ho messo da parte e me lo sono magnato. 
E quel suo retrogusto un po' salato, come nel caramello, ho scoperto che mi fa impazzire. Mannaggia agli americani.
Ma facciamo un po' di chiarezza e apriamo un siparietto, dato che sono sicura che alcuni di voi al solo pensiero della parola "burro di arachidi" siano inorriditi e siano già corsi a controllare il numero di kcal per etto. Il burro d'arachidi, anche se si chiama così e ha fatto fuori Elvis, non è il demonio.
Le arachidi sono antiossidanti naturali, sono una buona fonte di vitamine e sali minerali vari e contengono grassi per lo più monoinsaturi (che per intenderci sono quelli buoni, gli stessi dell'olio d'oliva) quindi, in quantità moderate, come tutto del resto, fanno bene. 
E poi, anche se alla fine erroneamente lo chiamo in tutti e due i modi, c'è una differenza tra pasta di arachidi e burro d'arachidi. La prima, che è quella che utilizzo io, è pura e contiene solo i semi frullati; Il burro d'arachidi invece è addizionato con sale, zucchero e olio di palma. Quest'ultimo è invece un grasso saturo, per intenderci quello bastardo che, se assunto in dosi massicce, aumenta i rischi di malattie cardiovascolari. 
Quindi occhio anche alle etichette e se volete approfondire la storia dei grassi basterà fare una breve ricerca in rete.

Tornando alla nostra ricetta, la percentuale di grassi e zuccheri è stata da me studiata in base a tabelle e calcoli vari per cui, ammesso che la mia calcolatrice non sia rotta, io non abbia sbagliato i conti, non abbia visto le tabelle sbagliate, non abbia sbagliato a digitare, potete star sicuri (?!??! muahhah) che questo gelato è correttamente bilanciato. 
Più nel dettaglio, come ho imparato ad un corso, i grassi in un buon gelato casalingo non devono superare il 15% per conferirgli la giusta cremosità e gli zuccheri devono essere compresi tra il 15 e il 25% per gelare in modo opportuno.
In questa ricetta come grassi ne abbiamo 10 gr dai tuorli, 17,5 gr dal latte e 75 gr dalla pasta di arachidi (totale 102 grammi che su 950 gr totali di peso corrispondono all'11%) mentre di zuccheri ne abbiamo 27,50 gr dal latte e 200 gr dallo zucchero (totale 227,50 gr che corrispondono al 23,9%).
Nel post della bravissima Mapy poi, se vi interessa, trovate una serie di approfondimenti molto dettagliati e molto interessanti sulla chimica del gelato.
Per quanto riguarda la preparazione invece mi sono attenuta alle regole dell'MTC e della ricetta di Mapy e sono partita da una crema inglese (ma dopo vi spiego come invece avrei proceduto io).
Ho montato quindi le uova intere (gli albumi li ho tenuti perchè aumentano la cremosità del gelato) con lo zucchero finchè il composto scriveva, ho aggiunto il latte a filo e ho rimesso tutto sul fuoco fino a raggiungere 85°, sempre mescolando. Ho aggiunto la pasta di arachidi e ho abbattuto la temperatura immergendo la pentola in acqua e ghiaccio. Ho fatto raffreddare una notte in frigo, ho aggiunto la farina di semi di carrube (come addensante), ho frullato con un minipimer e ho messo tutto nella gelatiera per circa 20 minuti.
In alternativa, il mio procedimento è invece di mettere in una pentola tutti gli ingredienti insieme (tranna la farina di semi di carrube che va sempre aggiunta all'ultimo prima di mantecare il gelato), mescolare e portare a 65°, far raffreddare sempre una notte in frigo, aggiungere la farina di carrube, frullare e infilare nella gelatiera.
Per le arachidi caramellate, che danno un tocco croccante irrinunciabile, mettetele in un pentolino con pari peso di zucchero, un pizzico di sale e un goccio d'acqua.
Lasciate andare a fuoco basso per circa 15 minuti finchè lo zucchero tornerà a sciogliersi dopo essersi cristallizzato. Mescolate per mischiare bene il tutto, rovesciatele su un pezzo di carta da forno e fate raffreddare.

Con questa ricetta partecipo all'MTC Challenge di Luglio



giovedì 12 luglio 2012

Gnocchetti di melanzane e farina di ceci



Ingredienti per 4 persone:
due melanzane medie o tre piccole
300 gr circa di farina di ceci
mezzo spicchio d'aglio
la buccia grattugiata di un limone
una punta di curcuma
una presa di sale
Per la salsa di pomodoro crudo:
due pomodori maturi e sodi
un cucchiaino di capperi
qualche oliva nera
qualche foglia di basilico
una manciata di mandorle tostate
olio extravergine di oliva

E' nato prima il post o la ricetta? 
Questo per me è uno di quei misteri che rimarranno per sempre irrisolti come quello dell'uovo e la gallina, dell'origine dell'universo o del perchè mai abbiano prodotto trasmissioni come Mammoni e Tamarreide. 
Programmi che, ci tengo a sottolineare con l'evidenziatore, ho seguito solo sporadicamente e anche un po' spasmodicamente per una questione prettamente antropologica. Cosa che comunque ancor mi pento di aver fatto e motivo per il quale tutt'ora giro col cilicio e mi flagello anche un po' ogni sera prima di andare a letto. 
Vi dico subito che non mi addentrerò nel suddetto argomento per evitare di diventare scurrile come uno scaricatore di porto al quale hanno appena fregato il portafogli e pestato un piede, con tutto il rispetto per gli scaricatori di porto e per i piedi, ma passerò subito al perchè di questa domanda esistenziale. 
Il fatto è che io finora ho sempre fatto ricette e scritto il post di conseguenza, ma avendo ormai esaurito l'archivio di quelle pronte e non cucinando quasi più sempre per il caldo di cui non vi voglio parlare, mi capita ormai di scrivere prima il post e successivamente farci una ricetta sopra, giusto per rendere le cose semplici. E non che questo sia un problema, è solo che di fatto continuando così, l'equilibrio tra numero di ricette e quantità di cazzate si sposterà pericolosamente dalla parte delle seconde, segnando forse un naturale cambiamento di questo blog. 
Un po' come chi partorisce evolve in un mommyblog, io regredirò ad un stupidblog, che peraltro non è nemmeno catalogato.
In aggiunta a ciò, come se già questo non bastasse a destabilizzarmi, mi sto rendendo conto che blogspot mi ha preso in antipatia e sta considerando come spam la maggior parte dei commenti che io lascio sugli altri blog.
E a tal proposito lancio un appello: A.A.A. e anche Amici bloggergoogleisti araharharharha, siete gentilmente invitati a controllare periodicamente la cartellina "commenti" e "spam" nel menù del vostro blog, perchè LI' mi troverete. 
E mica fra le parole semplici ed il sapore di un mattino di primavera con gli occhi dell'amore, sia chiaro.
E tu, caro Signor Blogger di sta cippa, mi spieghi cos'è che hai contro di me? Cos'è che ti infastidisce esattamente nella parola SaleQuBi?? Si può sapere una volta per tutte??
Va che se continui così ti boicotto e passo a Wordpress. Ti avviso.

Passando invece alla ricetta, di questo piatto mi piacciono principalmente tre cose, ovvero:
è un secondo travestito da primo. Infatti si tratta solo di verdura e proteine vegetali e quindi va bene per tutti, belli e brutti. Va bene per chi è a dieta, per grandi e piccini, per chi è vegetariano, vegano, per chi è intollerante al glutine, al lattosio e così via. 
E' veloce. In mezz'ora è in tavola. Volendo si può anche preparare l'impasto il giorno prima e tenerlo in frigo pronto da cuocere.
Ultimo, ma non meno importante, non ha proteine miste. E questa è una cosa a cui tengo particolarmente.
Credo che, aldilà della scelta delle materie prime, alcuni accorgimenti siano da tenere in considerazione anche negli abbinamenti delle stesse.
Anche se a volte sembra più difficile, non è consigliabile mischiare proteine di diverso tipo perchè il nostro stomaco e intestino fanno molta più fatica a digerirle, dato che richiedono enzimi differenti.  
La scelta poi di non utilizzare farina di frumento ma farina di ceci, oltre ad un fatto di gusto, l'ho fatta perchè credo che variare il più possibile l'alimentazione sia la cosa migliore da fare per non affaticare l'organismo. A pensarci bene di frumento e di conseguenza di glutine, in commercio ce n'è tantissimo, raffinato, e tutto dello stesso tipo, dato che praticamente la maggior parte degli alimenti industriali sono a base di quello. Pensateci un momento: biscotti, fette biscottate, merendine, brioche, pane, pasta, pizza, dolci, basi pronte. Sono tutti a base di grano tenero o di grano duro. Una volta ce n'erano diverse varietà, i cosidetti grani antichi, come per esempio il kamut, il farro, il senatore cappelli. Tutte qualità che, essendo di minore resa e più difficili da coltivare, in nome del solito Dio denaro sono state soppiantate da un unica varietà, che l'industria ci propina continuamente. E poi ci si stupisce di quante persone intolleranti ci siano. Ci credo, provate a mangiare per anni e anni solo pomodori e vediamo se prima o poi il vostro corpo non si ribella.
Ecco, ora mi posso togliere gli occhiali, scendere dalla cattedra, sciogliere lo chignon e spiegarvi finalmente come fare questi cavolo di gnocchi. Che vi ho pure detto che son veloci ma ci sto mettendo anni ad arrivarci.

Lavate e tagliate a metà le melanzane. Mettele in forno a 220° per circa 20 minuti. Dovranno ammorbidirsi ma non c'è bisogno cuociano totalmente, tanto poi le andremo a ribollire sotto forma di gnocchi.
Tagliatele poi a pezzetti e mettetele in una ciotola con l'aglio, una presa di sale e una di curcuma (dall'alto potere antiossidante e antitumorale) e la buccia di limone grattugiata ed iniziate a frullare col minipimer. Non levate la buccia dalle melanzane che tutte le vitamine sono propri lì e tanto una volta frullata non si sentirà più, promesso. Se avete tempo potete ripassare le melanzane in padella per asciugare l'acqua in eccesso, così vi servirà meno farina per l'impasto. Altrimenti aggiungete subito la farina necessaria ad ottenere un composto molliccio, che si possa modellare con due cucchiaini e sbattere nell'acqua bollente. Cuocete per due/tre minuti da quando i gnocchi salgono a galla e scolateli con una schiumarola.
Per la salsa di pomodoro cruda mettete tutti gli ingredienti in un mixer e frullate. Velocissima.

Con questa ricetta salata partecipo a Get an Aid in the Kitchen di Cucina di Barbara 






Con questa ricetta partecipo all'ultimo (sigh) contest di Ambra del Gattoghiotto "Piccola bottega di campagna" in collaborazione con Malvarosa Edizioni.