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sabato 30 novembre 2013

Un ingrediente per due: il porro



Leggendo e rileggendo i commenti al blog, finisco spesso col chiedermi perché io continui a faticare per far ricette e foto quando tanto qui vengon tutti solo per quello che scrivo senza cagare il resto.
E sia chiaro che la cosa mica mi dispiaccia anzi, dato che di solito il problema degli altri blog è che la gente guarda le foto senza leggere il testo e così capita che magari uno ha scritto che è devastato perché ha appena investito il suo cane in retro e i commenti sotto sono tutti un "brava, bella ricetta! Ricetta golosissima! Sembra buonissimo!"
Quindi insomma, di certo non mi posso lamentare. Anzi, in fondo questa consapevolezza riduce la mia ansia da prestazione e posso così permettermi di pubblicare post anche quando le foto fanno un po' pena o quando la presentazione non è delle migliori.

Ad esempio infatti potrebbe capitare io posti tranquillamente una ricetta ottima che sembra però un mappazzone e con una foto che ha delle dominanti strane che non riesco o non ho voglia di eliminare. 
Ogni riferimento a persone o cose......
E non è che non abbia voglia così per così, è solo che sono nuovamente a casa raffreddata e con la febbre. 
E per quanto mi piacerebbe dirvi che adoro fare e rifare le ricette finché non mi vengono perfette, che amo atteggiarmi a scrittrice di bestsellers e che adoro stare qui seduta davanti alla tastiera con la mia tazza di te fumante, la neve che cade fuori, il gatto che dorme sul divano e la musica di sottofondo, la realtà è che non ho voglia di scrivere e men che meno di rifare ravioli o sistemare foto perché mi fa mal la testa, scatarro sul monitor ogni due per tre, continuo a soffiarmi il naso e per giunta questo cazzo di te è ustionante dato che come al solito ho fatto scaldare troppo l'acqua. 
Ah, e il gatto ovviamente è un personaggio di fantasia.

E così vi prevengo e vi dico che sì lo so che la salsa ai porri è grumosa e forse pure un po' troppa, ma il frullatore che frulla bene era in lavastoviglie e così ho dovuto usare quello che frulla male e so che vi state chiedendo che se frulla male allora cosa lo tengo a fare ma io che sono la regina delle caccavelle, che peraltro dio-che-brutto-nome tanto quasi quanto caco, argomento sul quale tornerò dopo, lo tengo perché fa parte di uno di quegli aggeggi infernali tipo 4 in 1 che fanno 4 cose mediocri al posto di una bene e perché poi comunque la frutta secca per esempio la trita bene. 
Ma poi mi chiedo anche a dir la verità che cosa ve ne frega a voi di quanti frullatori io abbia e per quale motivo debba star qui a giustificarmi su quello che uso e non uso. Ma dove siamo finiti??!

Tornando al caco, non so se avete mai pensato quanto questo nome abbia penalizzato un frutto peraltro buonissimo e mi chiedo chi possa esser stato tanto simpatico da avergli affibbiato un nome così del cazzo. 
Dai, c'è gente che non mangia il caco perché si vergogna a chiederlo al fruttivendolo. 
Per non parlare poi dei suoi derivati. 
Ve lo immaginate Montersino dietro al banco della pasticceria che chiede alla sciura di turno: Signora, cosa preferisce oggi? Abbiamo una fantastica crostata ai marron glacè o la torta al CACO. Cosa sceglie? Maddai. 
Mi spiace per lui ma è un frutto troppo sfigato. Conosco gente che addirittura va avanti a ridere da sola sei ore al solo pensiero di entrare in un bar e chiedere un succo al caco. Che poi appunto, non vi siete mai chiesti come mai il succo di caco non esista? Ma ovvio, perché il nome fa cagare! Tanto che nemmeno Don Draper riuscirebbe a venderlo!
E comunque su questo argomento avrei voluto farci un post. 
Il riscatto del caco. 
E infatti tentai una torta che sulla carta sembrava molto promettente. Una roba tipo patate lesse, uova, poca farina, zucchero, cioccolato fondente e caco. Una sorta di budino da cuocere a bagnomaria che sembrava una gran figata e invece alla fine era una cacata colossale. Giusto per stare in tema.
Anche se mi sa che una grossa parte della colpa era da attribuirsi al cioccolato fondente che aveva preso prepotentemente l'aroma dell'olio essenziale di menta che sparsi tempo fa negli stipetti per tenere lontane farfalline.

E le farfalle son sì scomparse ma ogni cosa adesso sa di dentifricio. 
Pure le acciughe.
Proprio belli i rimedi della nonna. Mh.

Ma sto divagando. E' la febbre. Ne sono certa.
Quindi ora vi saluto e vi lascio al porro. Prima che sia troppo tardi.

Grazie, al solito, a Comandante Amigo.

"Il porro (Allium ampeloprasum) è un parente dell’aglio (Allium sativum) e della cipolla (Allium cepa)?
Bè, a leggere i  nomi scientifici di questi ortaggi, direi di si! E anche pensando al profumo ed alla capacità di fare lacrimare i nostri occhi…
Il porro è una pianta erbacea biennale, coltivata però a ciclo annuale, monocotiledone (cioè con una sola foglia embrionale all’interno del seme) di origine mediterranea e di cui si utilizzano in ambito culinario le parti terminali delle foglie (la parte bianca) e il piccolo fusto al quale le foglie sono attaccate, che altro non è in questa pianta che un ridotto disco da cui si diramano le radici che invece vengono eliminate prima dell’utilizzo. Il fiore biancastro è ombrelliforme e si origina nel secondo anno di vita.

Esistono molte varietà di porri coltivati nel nostro paese e queste sono classificate in base alla lunghezza del "fusto" e in base all'epoca di produzione.
La tecnica di coltivazione del porro prevede solitamente la semina in vivaio e il successivo trapianto in pieno campo quando le piante hanno raggiunto un’altezza di circa 20-25 cm. Difficilmente si effettua la semina diretta poiché è più difficile controllare le infestanti e perché si ottengono porri di differente pezzatura. Le varietà precoci vengono trapiantate a densità a mq maggiore, mentre per le varietà tardive la densità a mq decresce per facilitare il rincalzo che è quella tecnica che consente di aumentare la parte bianca dell’ortaggio e la resistenza al freddo.
La raccolta avviene quando la dimensione dell’ortaggio in termini di diametro raggiunge i 2/3 cm e ciò avviene solitamente dopo 3/4 mesi dal trapianto e dopo la raccolta vengono eliminate le foglie più esterne, quelle più dure, mentre le altre vengono tagliate una quindicina di cm sopra il termine della parte bianca. Il porro, pulito, si conserva facilmente in frigorifero anche per più di un mese.

Tra le varietà di porro presenti in Italia vale la pena ricordare quella di Cervere, un piccolo paese della provincia di Cuneo, dove annualmente in novembre si tiene la fiera dedicata a questo ortaggio. Dal sito web dedicato a questo porro si evince che la combinazione tra il terreno particolare dove si coltiva (limo, sabbia fina e calcare, combinazione abbastanza rara in natura) e il microclima con luminosità buona ma non violenta, permette di ottenere porri assai lunghi e teneri con basso contenuto in lignina e cellulosa (sostanze difficilmente digeribili almeno che voi non siate dei ruminanti!). Il fatto che il Porro di Cervere è più tenero, più dolce e più digeribile è da imputare quindi alle caratteristiche pedoclimatiche del sito ove viene coltivato.


Per finire una curiosità: l’imperatore Nerone (quello che forse diede fuoco a Roma per potersi costruire la Domus Aurea) veniva chiamato porrofago perché era un grande mangiatore di porri che utilizzava per schiarirsi la voce… ecco perché nei suoi ultimi anni di vita, prima di essere deposto e di suicidarsi, si ritirò con le sue paranoie nei palazzi per dedicarsi all’arte e alla musica… e chi gli stava più vicino!"

Ecco qui la mia ricetta e qui quella di Serena:

Ravioli alla burrata e porri

Ingredienti per 4 persone:
150 g di semola di grano duro
150 g di farina 0
3 uova
una decina di pistilli di zafferano
un pizzico di sale
olio extravergine
500 g di burrata
2 porri medi

Preparate la pasta come al solito mischiando uova e farina e un cucchiaio d'olio. Giusto per questa volta pestate in un mortaio lo zafferano con un cucchiaio d'acqua calda fino a farlo sciogliere ed aggiungetelo all'impasto. Fate una palla e fate riposare per una mezz'ora.
Stendete sottilissimamente la pasta del tipo che la sfogliavelo Rana ci fa na pippa, fate dei tondi o quello che volete, riempite con un cucchiaino di burrata che avrete preventivamente tagliuzzato grossolanamente al coltello, chiudete, schiacciate bene i bordi e cuocete per un paio di minuti in acqua bollente.
Per la salsa ai porri sminuzzate la parte bianca con quasi tutta la parte verde, avendo cura di tenere da parte un paio di foglie interne che faremo seccare in forno ma che vi spiegherò dopo che sennò qui diventa un casino, e fatela appassire in padella a fuoco minimo con un paio di cucchiai d'olio.
Quando il porro sarà bello morbido frullatelo con un goccio d'acqua e un goccio d'olio crudo con un frullatore che funzioni bene fino ad ottenere una salsa liscissima che andrete a spiattellare a specchio sul fondo dei piatti.
Tagliate sottilmente le foglie che avete tenuto da parte, conditele con sale e poco olio e fatele seccare in forno a 140° C fino a quando diventeranno belle croccanti, avendo cura di controllarle spesso che bruciano in un attimo e poi ciao.
Scolate i ravioli e passateli un secondo in padella con poco olio per farli asciugare e assemblate il piatto.
PS la burrata può essere sostituita con la bufala ma non è una grande idea perchè rimarrà leggermente gommosa.


giovedì 31 gennaio 2013

Un ingrediente per due: i funghi secchi



Un blog è un po' come il Kinder Cereali: c'è sempre qualcosa dietro.
Quello che si vede è tutto carino, allettante, cioccolatoso ma quello che ci sta nascosto non si sa.
Se va bene è qualcosa di buono.
Se va male è un pacco.
E non intendo regalo.
E nemmeno un pacco inteso come il pacco, lungi da me fare simili allusioni.
Intendo un pacco nel senso lato del termine.
E io, quando son riuscita a vedere cosa c'era dietro al blog di Sere in cucina, son stata fortunata.
Perchè sì, è vero che tutti noi foodblogger abbiamo già di base qualcosa in comune, ma poi le sfumature sono tantissime.
Più della confezione anniversario delle Caran d'Ache.
E quindi così, un giorno di pioggia Andrea e Giuliano incontrano Licia per caso.
Ah no, scusate quella è un altra storia.
Dicevo, un giorno per caso, ti può capitare di andare oltre alla rete e di ritrovarti a parlare con qualcuno che per certi versi è molto affine a te, che ha un po' i tuoi stessi principi e che crede in tante cose in cui credi anche tu.
Ed io, per l'appunto, ho pescato nel mucchio qualcun altro a cui piacerebbe vivere in un mondo ideale e fantastico fatto solo di cose genuine, di piccoli produttori onesti, di vita semplice, di un focolare e una tavola di amici, di famiglia, di cose buone.
E che allo stesso tempo ha anche la consapevolezza che il Mulino Bianco è solo una pubblicità.
Ma che, nonostante tutto, in queste cose continua a sperarci e crederci e continua ad esser convinta che anche il più piccolo gesto quotidiano, come l'andare a far la spesa, in fondo in fondo un pochino il mondo lo possa cambiare.
E così, partendo da questi discorsi platonici siamo poi finite con il dirci: ma perchè non facciamo qualcosa insieme?
Per esempio, perchè non scegliamo un ingrediente ogni mese da usare in comune e da declinare in due versioni?
E perchè magari non ci aggiungiamo pure una scheda di approfondimento?
Eh, appunto, perchè no?! E infatti così abbiam fatto.
Il nome che abbiam scelto per questa nuova rubrica è "un ingrediente per due".
Che fa tanto film di Natale (altra cosa che ci piace tanto).
Usciremo con cadenza mensile e il bello (per noi, muahah) è che non ci sono vincoli.
Infatti sceglieremo di cucinare come più ci pare e piace quello che ci passa per la testa.
Il primo mese sapete già che cascate bene, perchè parliamo di funghi.
Ma il prossimo???!!
Eh il prossimo chi lo sa.
Domani è un altro giorno.
E chi vivrà vedrà.
E sopra la panca la capra canta e sotto la panca la capra crepa.

Ecco qui la scheda dell'ingrediente, che questo mese è stata curata dalla mia collaboratrice insieme al suo Comandante Amigo.
E l'hanno fatto così bene, ma così tanto bene che vi sembrerà di leggere Wikipedia.
E invece è tutta farina del loro sacco.
O del loro cestino, giusto per stare in tema.

"Il mondo dei funghi è un mondo veramente affascinante e unico. I funghi, siano essi ipogei (sotterranei) che epigei (con una struttura esterna al suolo), possono essere suddivisi in: 


· funghi saprofiti, cioè che utilizzano sostanze morte, vegetali e animali, per trarne sostanze utili alla crescita; 
· funghi simbionti, che utilizzano una pianta con la quale stabiliscono un reciproco scambio, essenziale e indispensabile per entrambi, di sostanze nutritive;
· funghi parassiti, che utilizzano una pianta per trarne vantaggio senza che questa ne riceva alcun benefit e, anzi, a volte, conducendola a morte.

Quello che noi comunemente chiamiamo fungo in realtà non è altro ch il corpo fruttifero riproduttore di un organismo più complesso costituito principalmente da numerosissime ife sotterranee (che possono essere paragonate alle radici delle piante e che, come le radici, fungono da apparato assorbente). Il fungo può nascere per via sessuata dall’incontro di due spore liberate da altri funghi o per via asessuata da particolari cellule presenti sulle ife sotterranee. 

La morfologia classica dei funghi che noi incontriamo nei boschi, è quella della classe dei Basidiomiceti, funghi costituiti da gambo e cappello, che li contraddistingue dagli Ascomiceti che sono invece funghi dove raramente è possibile fare una distinzione tra il gambo ed il cappello. 

Parlando ora dei nostri funghi secchi, ci addentriamo nello specifico. Si tratta di gambi e cappelle, tagliati a fette e lasciati ad essiccare completamente al sole e all’aria aperta o al chiuso al calore della stufa a legna, appartenenti alla famiglia delle Boletaceae. I boleti, o porcini, sono funghi comuni, medio grandi, carnosi, dal cappello globoso semisferico in giovane età e dal gambo solitamente più o meno panciuto. Essi sono funghi simbionti con numerose piante, le cui principali sono i castagni, le querce, i faggi, i pini e gli abeti. 

Tra le circa 70 specie che appartengono alle Boletaceae, in questo mix di funghi secchi troviamo il Boletus edulis, tipico dell’ambiente collinare, ritrovabile in boschi misti di latifoglie e conifere, dal cappello bruno chiaro, talvolta bianco se coperto da fogliame, il Boletus pinicola, che predilige le conifere dell’ambiente collinare e montano, col cappello di colore bruno scuro o rossastro e il Boletus reticolatus (o aestivalis) che è il più precoce a comparire e predilige le latifoglie collinari e montane e ha un cappello chiaro con la cuticola che facilmente si screpola creando una sorta di reticolo (da cui il nome). 

Difficilmente ci si può sbagliare nel raccogliere i porcini, ma come in tutte le cose, se non si è assolutamente sicuri di ciò che si è raccolto, è sempre meglio non raccoglierlo per nulla o piuttosto recarsi presso un centro micologico per accertarsi della commestibilità di ciò che si è messo nel cestino. Perché, anche se fra i boleti non vi sono specie velenose mortali, è sempre meglio evitare intossicazioni o complicazioni peggiori. 

Una cosa voglio però ricordare. Quando ci rechiamo in bosco per funghi dobbiamo assolutamente evitare alcune azioni: 

1) evitiamo di raccogliere funghi dei quali non siamo sicuri sulla loro commestibilità (come detto sopra); 
2) evitiamo di rompere i funghi che comunque non raccoglieremmo. Essi sono fondamentali comunque per la decomposizione della materia organica e per le piante con le quali possono essere simbionti;
3) raccogliamo i nostri funghi senza l’ausilio di rastrellini o simili ma solo grazie ad un bastone ed eventualmente a un coltellino con il quale possiamo già pulire grossolanamente gli stessi dalla terra e dal fogliame;
4) riponiamo i funghi raccolti in cestini o contenitori aerati: così si eviterà che gli stessi “cuociano” dentro i sacchetti di plastica e contemporaneamente aiutiamo la sporulazione e la successiva germinazione di nuovi funghi. 

5) non lasciamo nessun tipo di rifiuto inorganico all’interno del bosco. Lasciare rifiuti è un gesto di insensata inciviltà.

E ora qui di seguito la mia ricetta e qui invece quella di Serena:

Zuppa di miso con tagliolini di funghi:

Ingredienti per 4 persone:
140 gr di farina 00
70 gr di semola
40 gr di funghi secchi
2 cucchiai d'olio extravergine
un pizzico di sale
4 cucchiai di miso di riso
10 cm circa di alga wakame
due cipollotti o una decina di fili d'erba cipollina

Frullate 30 gr di funghi secchi fino ad ottenere una polvere finissima.
Impastate le farine con la polvere di fungo, l'olio, un pizzico di sale e tanta acqua necessaria ad ottenere un impasto non appiccicoso.
Lavoratelo per una decina di minuti fino ad ottenere una palla perfettamente liscia e fatelo riposare mezz'oretta avvolto nella pellicola o coperto da una ciotola rovesciata sul piano di lavoro (così usate pure meno plastica).
Nel mentre mettete a mollo in una tazza d'acqua l'alga e i funghi rimanenti per una decina di minuti e poi sminuzzateli in piccoli pezzi.
Tritate finemente i cipollotti e metteteli in una pentola con l'alga e i funghi. Coprite con due litri circa di acqua e portate a bollore. Fate sobbollire per una decina di minuti.
Stendete l'impasto dei tagliolini a 2-3 mm di spessore, cospargete la sfoglia di farina, arrotolatela su se stessa e tagliatela a striscioline sottilissime.
Buttate i tagliolini nel brodo bollente e fateli cuocere qualche minuto.
Spegnete il fuoco, diluite la pasta di miso con qualche cucchiaio di brodo caldo ed aggiungetela alla zuppa.

venerdì 25 gennaio 2013

I pici alla Luganega


Ingredienti per 4 persone:
250 gr di macinato di maiale
150 gr di grana padano grattugiato
un paio di cucchiai di vino bianco
qualche cucchiaio di brodo di carne (si può omettere)

200 gr di farina 00
100 gr di farina di semola rimacinata
2 generosi cucchiai d’olio extra vergine
1 pizzico di sale

La sfida di questo mese è stata tosta.
Non tanto per la pasta in sé, tanto che fosse un smaronamento già lo sapevamo tutti, come ogni pasta fatta in casa d'altronde.
Tanto è vero che quando ad Antonio chiesero: "Ok ti assumiamo. Preferisci fare i fusilli uno ad uno o i saccottini?"
Lui rispose: "No vi prego, la pasta no! Piuttosto parlo coi polli!".
E poi è finito a fare gli abbracci.
E sì, so che sono monotona e ogni tanto sta storia la tiro fuori, ma non posso farne a meno, è un'immagine che ha sempre il potere di risollevarmi il morale.
Dicevamo, che non è stata tosta per la preparazione in sé, quanto per il condimento.
Perchè diciamocelo, è facile (e qui mi verrebbe da citare un aforisma popolare che tratta di sederi degli altri, ma mi tratterrò) parlare di km 0 quando si abita vicino alla campagna in una terra meravigliosa (gnegnegne). Ma per quelli che abitano in città il cui unico km 0 è il super sotto casa come la mettiamo?!
Ma questo tanto non è il mio caso.
Facevo solo un po' di polemica gratuita.
Infatti io, nonostante abiti in una zona che fino a pochi anni fa era semi-periferica con ancora un po' di verde intorno ma che ormai là dove c'eeeera l'eeerbaaa ooora c'eeeè uuuun Auchaaaaaannnn, ho un pezzo di giardino nel quale abbiamo un piccolo orto e tre polli da compagnia.
Mi mancherebbe solo il mulino, giusto per tornare sul discorso di prima.
Anzi, per esser precisi, si tratta di tre galline femmine, chiamate amorevolmente da tutti "Le Ragazze".
E non chiedetemi come faccia a gestire tutto questo oltre ad avere un lavoro di 8 ore che mi tiene fuori casa 11, perché infatti semplicemente io non faccio una mazza; se ne occupa qualcun altro.
Altrimenti mi chiamerei Sarah Jessica Parker e avrei fatto un film.
Tornando alle ragazze, quelle che stanno in giardino, avere una gallina da compagnia in città è simpatico quanto avere un cane.
Con la differenza che non abbaia ma in compenso canta, è meno affettuosa, ti fa meno compagnia, è più autonoma, ti fa le uova, non ti porta il giornale e menchemeno le ciabatte ma in compenso scagazza uguale a un San Bernardo, se non di più. 
Anzi, in effetti ora che ci penso, a parte le uova, avere una gallina è una gran ciulata.
No dai scherzo, è bello sentirle cantare alle 5 del mattino.
E quindi insomma, questo per me è il mio km 0.
Solo che cazzarola, Patty, l'unica volta che ero bella pronta per fare una magnifica pasta all'uovo cosa mi tiri fuori tu??? La pasta di semola.
Eh ma allora ditelo.
Comunque l'uovo, anche se non potevo piazzarlo nell'impasto, ho deciso che in ogni caso avrebbe dovuto essere un punto fermo della mia ricetta semplice e contadina, perché d'altronde in passato chi non aveva almeno un cinque sei sette otto centordici galline nell'aia insieme al cane da menare?
Però mi mancava qualcosa di altro da abbinarci.
E che cos'è che abbiamo qui in Brianza oltre che alle fabbrichette, la fantomatica pecora e l'onnipresente casseoula?
La luganega.
Che non è quella porcheria sottile e lunga che vi rifilano al supermercato.
E no. Perché qui, nella brianzachelavora, non ci accontentiamo mica della semplice carne di suino. 
Eh no, noi, fin dai tempi antichi, ci aggiungevamo anche un sacco di grana padano e del vino bianco e del brodo di carne.
Che non ho ancora capito se servisse a renderla più pregiata o solo a far volume. 
Sta di fatto che il risultato è un qualcosa di delizioso, di cremoso, di saporito, che si scioglie in bocca.
E si dice che il modo migliore per gustare questa prelibatezza sia mangiarla cruda sul pane caldo. 
E si, so che la carne cruda di maiale dicono vada evitata per via della tenia, però dai se me lo dice un macellaio mi fido. 
Oddio. Mi fido???!
Beh ormai è tardi. Ormai è tardi!! Non si torna, comunque sia! e quanta nostalgia uh uh.
Eppoi comunque prendere il verme solitario c'ha sempre i suoi vantaggi: ci pensate a quanto potrò mangiare senza assimilare niente??
E quindi insomma, da qui alla carbonara sbagliata der norde il passo è stato breve.
Quindi ho impastato i miei pici seguendo rigorosamente la ricetta della PattyPat e poi ho fatto le mie polpettine di luganega.
Che, attenzione, non sarà quella del marchio depositato ma a me pare uguale (ma shhhh, ditelo a bassa voce).
Per i pici vi copio paro paro il procedimento della Patty, che è inutile far fatica in due:
"Fate la fontana con le due farine miscelate. Versate l’olio, il pizzico di sale e cominciate a versare lentamente l’acqua, incorporando la farina con una forchetta. Attenzione al sale. Non esagerate perché questo indurisce la pasta.
Quando la pasta comincerà a stare insieme, cominciate ad impastare con energia utilizzando il palmo delle mani vicino ai polsi. Se necessario, aggiungete acqua o farina.
Piegate la pasta su se stessa come quando impastate la pasta all’uovo e non stirate mai troppo l’impasto per non sfibrarlo.
“Massaggiate” con energia per almeno 10 minuti. Ricordatevi che la vostra “palla” di pasta è una cosa viva, dovete volerle bene.
Dovrete ottenere una pasta liscia, vellutata e abbastanza morbida.
Fate riposare una mezz’ora avvolta nella pellicola.
Quando la pasta è pronta, tagliatene un pezzetto e fatene una pallina, quindi sulla spianatoia stendetela con il matterello ad uno spessore di 1 cm. Con un tagliapasta o un coltello affilato, tagliate tante striscioline larghe c.ca 1 cm e coprite il resto della pasta con la pellicola affinché non si secchi.
Cominciate a "filare" i pici, rollando la pasta con il palmo delle mani e contemporaneamente stirandola verso l'esterno." 
Per le polpettine invece mischiate la carne tritata con grana, brodo di carne, un goccio di vino, sale e una spolverata di pepe.
Amalgamate bene e formate delle palline grosse come nocciole giganti (?!).
Scaldate una padella antiaderente, versateci un filo d'olio e rosolatele velocemente a fuoco alto in modo da farle rimanere rosate all'interno.
Sbattete 2 tuorli in una ciotola capiente, versateci la pasta bollente appena scolata, aggiungete le polpettine e mischiate il tutto.
Servite con abbondante pepe.

Con questa ricetta partecipo all'MTC di gennaio.


venerdì 5 ottobre 2012

Raviolamp


Ingredienti per dei ravioli, qualche tagliatella e degli gnocchi per due persone:

70 gr di farina 00
60 gr di semola di grano duro
60 gr di manitoba 
2 uova intere

3 patate
un pezzo di formaggio semistagionato
un po' di parmigiano
un po' di pimento dolce
noce moscata
la buccia di un limone
un pizzico d'anice 

Per la serie: attrezzi che dovrebbero semplificarti la vita e invece ti fanno solo incazzare.

L'altro giorno, presa da una smania incontrollabile di ravioli, mi è venuta la balzana idea di provare un aggeggio che giaceva indisturbato da decenni nel ripostiglio di mia mamma. 
Ovvero il Raviolamp.
La confezione non ha istruzioni ma contiene un vassoio rettangolare a bordi frastagliati a forma di stampino per ravioli e un mattarellino. 
Quindi il procedimento mi è sembrato facilmente intuibile.
Si stende la pasta, si appoggia la prima sfoglia sull'affare, si riempiono gli avallamenti col ripieno, si stende la seconda sfoglia, si passa il mattarello et voilà: 36 ravioli belli che pronti.
Ok. E' facile. E veloce. Eppoi lo dice il nome stesso: ravio-lamp.

E invece no! E' facile e veloce sticazzi!
Tu credi di fare dei ravioli ma in realtà ti stai solo procurando un'ulcera!
Punto primo: se ti rimane la minima goccia di umidità negli incavi sei fottuto. Ti si attaccherà irrimediabilmente la pasta e dovrai scalpellare uno ad uno quelli che avrebbero dovuto essere dei fottutissimi ravioli perfetti.
Secondo: se per sfiga il ripieno supera anche di solo un micron il bordo dello stampo, quando andrai a passarci sopra il mattarello ti si spatascerà tutto e non riuscirai più a distinguere quale era la pasta e quale il ripieno
Terzo: quel maledettissimo bordo frastagliato non taglia nè incide. 
Perdio, non mi aspettavo di certo dei Miracle Blade ma almeno qualcosa che tagliasse più dei coltelli della Sambonet.
Quindi insomma, dopo svariati tentativi, ecco il mio decalogo per sopravvivere al Raviolamp.
Uno: appuntati la ricetta del ripieno. 
Due: almeno il giorno prima di usarlo, lava quell'affare e mettilo ad asciugare.
Tre: il giorno stesso asciugalo col phon.
Quattro: riempilo di farina e scrollala delicatamente cercando di non farla cadere. 
Cinque: appoggia la prima sfoglia.
Sei: riempi con meno di un grammo di ripieno ogni buco.
Sette: copri con la seconda sfoglia.
Otto: passa il mattarello e poi facci degli gnocchi perchè ti sarà venuta una merda.
Nove: rifai tutto il procedimento.
Dieci: stacca cuoci e gusta i ravioli che non sapranno di un cazzo e vai a rivederti l'appunto di quello c'è dentro perchè non riuscirai più capirlo.

Proverbio del giorno: vecchio saggio indiano dice "se tua mamma non usa una cosa da vent'anni c'e sempre un motivo".

E se lo dice pure Celentano non può che essere vero.


Per fare la pasta impastate gli ingredienti per l'impasto e fate riposare almeno mezz'ora.
Per il ripieno potrei dirvi la stessa cosa ma invece oggi mi sento buona. Sarà perchè siamo quasi a Natale.
Quindi lessate le patate, sbucciatele, schiacciatele con una forchetta ed aggiungete il resto.
Procedete come da decalogo.
Consumate subito la pasta fresca oppure sbollentatela per meno di un minuto e stendetela ad asciugare su un telo.
Io l'ho condita nel modo che amo di più: burro, aglio e olio solo scaldati con erbe aromatiche fresche.

domenica 9 settembre 2012

Provati per voi: gamberi della Louisiana


Ingredienti per quattro persone:
350 gr di spaghetti alla chitarra
1 kg di gamberi
mezza carota
mezza cipolla
qualche gambo di prezzemolo
mezzo bicchiere di vino bianco
un peperoncino
uno spicchio d'aglio
olio extravergine
sale e pepe

Finalmente dopo tanto sono tornata in uno dei miei posti preferiti: l'Ikea.
E le risposte sono sì e no. Sì, è' vero che basta poco per rendermi felice e no, il Signor Ikea non mi sponsorizza.
Che ciula. Sono l'unica blogger che fa pubblicità a gratis. 
Però se per caso il suddetto Signore mi stesse leggendo e per compassione volesse mandarmi a casa una cascata di brugole d'oro le accetterei volentieri. Ma anche delle viti d'argento andrebbero bene, non stia a farsi problemi.
Comunque, dopo aver fatto il mio solito giro per l'esposizione superiore ed essermi innamorata di svariati nuovi arredi originalissimi, che di originale non hanno più niente quando penso che sono stati prodotti in 89485948590485945oni di pezzi, mi sono fatta violenza e sono riuscita a oltrepassare le casse con solo una ciotola d'acciaio e un thermos.
Mi sono mangiata un hot dog, ringraziando di averlo potuto comprare già fatto e per non essermi trovata davanti un maiale, un sacco di farina e delle istruzioni, cosa che per altro prima o poi mi aspetto, e ho fatto il giro di rito alla bottega alimentare.
E lì, in mezzo a tutto il resto, li ho visti. Ed è stato colpo di fulmine. O colpo di testa.
Perchè comprare dei gamberi della Louisiana, venduti come gamberi cinesi, in un negozio di mobili svedese forse non è proprio saggio.
Tra l'altro sulla confezione non c'è nemmeno indicata la zona precisa di provenienza, nè se sono stati pescati o allevati.
Ma per una volta ho preferito non pensarci.
Uscita con sottobraccio il mio bel chilo di gamberi surgelati in salamoia di acqua e aneto, mi sono diretta verso casa.
Saranno stati i 30 gradi, sarà stata la confezione chiusa col culo, fatto sta che un ruscello di brodo ha iniziato a colare dalla confezione.
E com'era prevedibile io non avevo niente per arginare i danni, se non i tappetini dell'auto.
Il tempo di arrivare a casa e sembrava avessi in macchina un nuovo arbre magique.
Ora devo solo sperare di non venire assalita dai gatti ogni volta che esco.
Poi ho iniziato a documentarmi sulle bestie acquistate, perchè io mica sapevo esattamente cosa fossero.
A quanto pare questo gran bastardone del gambero d'acqua dolce della Louisiana, che pare un'aragosta in miniatura, è un potente predatore che ha un'elevatissima capacità di riproduzione e un forte spirito di adattamento e che tende a magnarsi tutto quello che che gli sta intorno, animale o vegetale che sia, rischiando pure di distruggere l'ecosistema che lo circonda. 
E mica per niente viene chiamato gambero killer. 
Ma proprio per queste caratteristiche che ne rendono semplice l'allevamento, ovviamente è stato importato dai più furbi in tutti i modi, in tutti i luoghi in tutti i laghi in tutto il mondo. 
E l'universo ora lo insegue ma lui ormai è irraggiungibile. 

Il modo più semplice per farne un test d'assaggio era quello di condirci la pasta. Quindi ho aperto la confezione, li ho tirati fuori e ho cercato il coraggio per pulirli. 
Il carapace è durissimo, quindi serve una buona forbice. 
O un'ascia ben affilata. 
Poi vi serviranno una ciotola, un pentolino e il bicchiere del tritatutto: una per la polpa, uno per gli scarti duri e uno per gli scarti molli, che poi andremo a frullare.
Sì, avete capito bene, e non fate quella faccia lì che si sa che il buono dei gamberi è tutto nella testa. Preferite forse succhiarle una ad una??!
Iniziate poi a staccare le code, cercando di non pensare che tutte quelle zampette lì lunghe e sottili ricordano quelle di un ragno. 
Soprattutto se siete aracnofobici come me. 
Che infatti mi tremavano le ginocchia e mi è venuto anche da piangere quando un pezzo di cervello mi è schizzato in faccia.
Mettete la polpa da una parte e i gusci dall'altra. Poi togliete la parte dura dalla testa, mettetela con gli altri gusci e quel che rimane nel bicchiere del tritatutto. 
Ora iniziate a frullare le teste. Sì, frullare. Dolcemente frullare per poi accelerare con un ritmo fluente di vita nel cuore.
Poi prendete questo bell'impasto e buttatelo nel pentolino con gli altri gusci.
Fatelo tostare per un paio di minuti a fuoco alto, aggiungeteci il trito di carota, cipolla e gambi di prezzemolo, il vino bianco, abbassate al minimo la fiamma e fate cuocere una mezz'oretta senza il coperchio.
Colate il tutto e mettete il sughetto ottenuto da parte. 
Fate saltare in una padella la polpa delle code con un peperoncino e uno spicchio d'aglio, aggiungeteci il succo delle teste, buttateci la pasta al dente e portate a cottura.

martedì 28 agosto 2012

Paccheri e canocchie



Ingredienti per quattro persone:
paccheri in base alla vostra coscienza
un paio di canocchie a testa
un paio di pomodori
qualche foglia di basilico
aglio
stanlio e olio

Ho esaurito le ferie. Sono tornata in ufficio. Agosto è agli sgoccioli. E quindi per me l'estate è finita.
E se vale la regola della settimana, ovvero che dopo aver scollinato il mercoledì ormai è quasi il weekend, in pratica siamo già a Natale.
Oh cazzo. Mi tocca tirar fuori il piumone.
Certo che le mezze stagioni non esiston proprio più...
E nonostante la scuola sia ormai lontana, mentalmente per me con settembre è come se iniziasse anche un nuovo anno e con lui una serie di nuovi propositi.
E non perchè io sia tornata ricaricata dalle vacanze, anzi. Io sono una di quelle che soffre della cosiddetta sindrome da rientro che, come avrete letto su tutti i giornali, è una malattia provata e i cui sintomi sono: nervosismo, affaticamento, svogliatezza e agitazione.
Graziealcazzo. In pratica è come dire che se il lunedì mattina fai fatica a svegliarti e non hai voglia di andare in ufficio allora sei malato e soffri della sindrome di staminchia.
No perchè non so voi, ma io se potessi starei sempre in vacanza.
E' solo che non sono un ragazzo fortunato e se devo dirla tutta qui non è il paradiso. Ciaomammaguardacomemidiverto! Ee aaaaaaa. 

Tornando ai buoni propositi, come ogni Agosto e anche un po' ogni Dicembre, non avendo una cippa da fare in vacanza, ho pensato ad una serie di cose da fare nel nuovo anno, sempre che i Maya ovviamente non abbiano ragione e anche se consapevolmente so già benissimo ne farò la metà.
Noi dai, faccio la seria. Diciamo un terzo.
Muahahahahhaah ok dai facciamo che forse uno su mille ce la fa. 
Insomma in pratica ho imparato a sovrastimare volutamente il numero delle cose da fare in modo che poi, tolte le defezioni e dispersioni, ne rimanga una quantità accettabilmente realizzabile.
Cose del tipo: mettermi a dieta e perdere almeno 10 kg, riniziare a frequentare la palestra alla quale mi sono iscritta l'anno scorso che mentalmente già per il solo fatto di pagare le rate mi fa sentire come se avessi il culo più sodo, iscrivermi ad un corso di ballo, frequentare altri corsi stimolanti, coltivare il blog, imparare a cucinare e fotografare meglio, fare qualche viaggio, riuscire a fare la mantenuta e anche vincere al superenalotto.
Va bene dai avete ragione forse ho esagerato un pochino. 
Facciamo 8 Kg.

Pertanto, in linea con i nuovi obiettivi 2012-2013 anche le mie ricette d'ora in poi saranno orientate verso piatti più light, come ad esempio questi innocenti paccheri con solo un po' di pesce e qualche pomodorino.
Tanto poi lo sapete che tra due giorni vi propinerò una sacher a 15 piani, vero?!
Introducendovi alle canocchie, ne approfitto per un nuovo approfondimento sul pesce, che mi sa non vi facevo da un po'.
Le canocchie o pannocchie o cicale di mare, sono un crostaceo che fino a qualche mese fa era a me sconosciuto. O meglio, sempre visto sui banchi delle pescherie (o era lui che vedeva me?) con quegli occhiettini lì un po' da cartone animato, mi ha sempre fatto troppa tenerezza per comprarlo e mangiarlo e così l'ho sempre risparmiato.
Fino a quando poi non ho scoperto che quelli che pensavo fossero occhi in realtà erano la coda. Me tapina.
Il furbacchione ha degli occhi finti carinissimi sulla coda che servono ad imbrogliare i predatori, mentre in realtà i suoi occhi veri sono dalla parte che sembra una coda ma che invece è una testa. Chiaro?
Cioè alla fin fine ha letteralmente una faccia da culo.
Quindi, dopo aver scoperto ciò, non mi sono più fatta fregare e l'ho comprato, scoprendo in lui un pesce gustosissimo e molto più saporito dei suoi lontani cugini di terzo grado, gli scampi, che tra l'altro costano più dell'oro. Motivo per il quale esiste l'espressione "che Dio ce ne scampi".
Per questa ricetta, se volete pulire le canocchie auguri. In rete trovate un sacco di video esplicativi. In sintesi dovete usare delle forbici, tagliare di piatto tutte quelle specie di linguette che ha sulla pancia e che pungono da morire, per dire eh, poi tagliare i bordi laterali e quindi aprirle per tirare fuori i 5 milligrammi di polpa che hanno. 
Se invece volete gustarle nel modo più veloce possibile e non avete voglia di farvi tante menate, prendete una forbice e squartatele per il lungo partendo dal mezzo degli occhi finti fino ad arrivare a quasi alla testa, senza dividerle totalmente.
Giratele magari dalla parte della pancia così non vi fisseranno mentre lo fate.
Buttatele poi per qualche minuto in padella con il soffritto d'aglio e olio e i pomodorini tagliati a tocchetti e conditeci la pasta che avrete l'accortezza di scolare 5 minuti prima del tempo per poi finirla di cuocere in padella col resto, aggiungendoci un mestolino d'acqua di cottura.
Se avete senso potete levare i cadaverini prima di servirla che è uguale, dato che magicamente e inspiegabilmente la polpa delle canocchie si scioglie nel sugo e ne rimane solo la corazza bella pulita. 
Ottimo lo stesso piatto con l'aggiunta di un po' di pesto.



mercoledì 4 luglio 2012

Fregula con le arselle



Ingredienti per quattro persone:
1 kg di vongole (arselle in sardo)
350 gr di fregula
1 bicchiere di polpa di pomodoro
mezzo bicchiere di vino bianco
1 spicchio d'aglio
un mazzetto di prezzemolo
olio extravergine d'oliva


La fregula è quella cosa sarda che assomiglia ad un cous cous gigante ma non è cous cous e si risotta come un risotto ma non è un risotto.
E non è manco la fregola che c'è qui a Milano, come mi dice mio papà quando mi vede impaziente: "uè ti, che te gha, la fregola?!" O forse era romagnolo e me lo diceva mia mamma in un altro modo?
Non lo so, perchè alla fine io di romagnolo mi ricordo solo "asluseala", che mi fa sempre tanto ridere. Ma che con la fregola c'entra poco, a meno che non stia piovvigginando mentre la cucinate, certo.
In ogni caso so per certo che la fregula è una pasta sarda che per tradizione si fa con le arselle, che altro non sono che le vongole. Capitto mi hai?!
Sulla pulizia dei molluschi mi ero ampiamente dilungata qui, per cui non mi curerò di loro ma guarderò e passerò.
Il punto fondamentale di questa ricetta è prendere delle vongole fresche. 
E non trapassate come quelle che han venduto a me, che erano chiuse come un naso col raffreddore in gennaio. Ho pure aspettato un po' pregando resuscitassero, ma dopo il terzo giorno in cui non era ancora successo niente le ho rispedite al mittente cercando di farmele sostituire. 
Per preparare questo gustosissimo piatto fate aprire le vongole a fuoco alto in una pentola chiusa con il vino bianco. Cioè, le vongole col vino bianco, non la pentola chiusa col vino. Filtrate l'acqua che avranno rilasciato, sciacquate le vongole sotto l'acqua corrente senza prendere la scossa, sgusciatene una parte e tenete tutto da parte.
In una padella versate un filo d'olio e piazzateci l'aglio schiacciato. Fate andare a fuoco basso per qualche minuto poi aggiungeteci la polpa di pomodoro e la fregula. Mescolate per un paio di minuti poi aggiungete l'acqua delle vongole. Fate cuocere per circa 20 minuti (ma controllate i tempi di cottura della pasta sulla confezione) aggiungendo pian piano un goccio d'acqua bollente alla volta quel tanto che basta a coprire a filo la fregula. Un po' come si fa col risotto.
Quando la pasta è cotta aggiungete le vongole (non prima, per non farle diventare ciccose), il prezzemolo tritato e un generoso giro d'olio.

Con questa ricetta partecipo al contest Geografia in tavola di Danita 



Ne approfitto inoltre per invitarvi a sfogliare il carinissimo OpenKitchenMagazine di Giugno dove, oltre ad una simpatica intervista a Montersino e a diverse idee interessanti, troverete anche un paio di mie ricette.


lunedì 26 marzo 2012

Il destino dei soba


Ingredienti per 4 persone:
una grossa patata
200 gr di formaggio casera
360 gr di soba
una manciata di erbette o spinaci
uno spicchio d'aglio
una noce di burro
un po' d'olio
un po' di parmigiano
qualche foglia di salvia
sale e pepe qubi

..è quello di essere trattati da pizzoccheri. Non è colpa loro poverini, è solo che l'abbinamento granosaraceno-formaggio è inevitabile e per me è proprio qualcosa di innato.
E c'è da dire poi che mettendo "soba" in google immagini per avere qualche spunto per una ricetta diversa non è che si trovino proprio delle cose invitanti...più che brodo e verdure non salta fuori.
E quindi niente, alla fine ho preso e cucinato alla pseudo-valtellinese i miei bei Organic Soba autentici giapponesi. Trovati in un negozio cinese. A Milano. E prodotti in Australia.
Alla faccia del km 0. E poi che non si dica io non faccia girare l'economia. O è l'economia che gira con me? Va beh diciamo che facciamo un girotondo.
Per la salsa di patate e formaggio prendete una grossa patata o due medie o tre piccole, tagliatela a cubettini e mettetela in un pentolino, coprite d'acqua a filo, aggiungete un pizzico di sale e fate bollire per circa 15 min fino a quando si spappolerà tutto.
Togliete dal fuoco, aggiungete il casera tagliato a cubetti, regolate di sale e pepe e frullate fino ad ottenere una salsa densa. In una pentola alta di acqua salata che bolle o di acqua bollente salata buttate le erbette e i soba e cuocete al dente. Fate soffriggere in una padella con burro e olio lo spicchio d'aglio schiacciato e saltateci i soba+erbette per un paio di minuti.
Impiattate mettendo qualche cucchiaio di salsa di patate a specchio, poi i soba e poi una bella spolverata di parmigiano e pepe nero. Finite rapidamente a grosse cucchiaiate la salsa avanzata di patateeformaggio mentre nessuno vi vede e servite.