martedì 31 dicembre 2013

Un ingrediente per due: la lenticchia


Mentre scrivo mi chiedo con che faccia si possa pubblicare una ricetta subito dopo Natale quando tutti sono ormai satolli e solo a vedere un panettone incartato vien la nausea.

Perché va bene che il Natale non è più quello di una volta e che ormai si può mangiare tutto tutti i giorni ma alla fin fine Natale è sempre Natale come d'altronde domenica è sempre domenica - che se domenica fosse lunedì sarebbe una gran ciulata - e io mangio appunto quello che non mangio durante il resto dell'anno anche se so che potenzialmente potrei farlo e ciò mentalmente mi tranquillizza perché mi permette di prendere porzioni normali - di 15 portate ma porzioni normali - che se davvero mi toccasse aspettare un anno per rivederle mi premunirei e ne mangerei il doppio, non lo faccio.
E se non avete capito a che cosa è riferito il non lo faccio non chiedetelo a me perché non lo so più manco io.

Comunque, a proposito di cose che mangio solo a Natale ma che potrei mangiare sempre ma che invece non mangerò più, c'è il cappone. 
Che quest'anno ho tentato di comprare in un allevamento etico. 
Che nel momento stesso in cui ho aperto la bocca per chiedere se l'avevano, con la mano stavo già cercando a tastoni la pala che tengo in borsa per emergenza dato che a far figure di merda ci sono avvezza. 

Tipo quella volta in cui chiesi come mai  nella foto di compleanno al ristorante una cameriera era affettuosamente abbracciata alla festeggiata e mi fu risposto che non era mica la cameriera ma la zia, oppure quando chiesi chi mai avrebbe potuto comprare quella macchina che faceva così tanto cagare e mi fu risposto ce l'ha mia madre e così via. 
E potrei andare avanti ore ma anche no.

Tornando ai volatili, non voglio smettere di mangiare il cappone solo per evitare altre figure del cazzo nel nuovo anno ma, soprattutto, dispiacere per la sua virilità a parte, perché non mi è ancora esattamente chiaro il motivo per il quale si debba castrare un pollo per farlo ingrassare a dismisura quando poi tocca cuocerlo per ore e ore per eliminare tutto il grasso. 
Ma allora sarà mica uguale comprare due polli normali?

E con questo spunto di profonda riflessione vi lascio all'ultima puntata della rubrica "un ingrediente per due" e vi saluto augurandovicisivivici scaramanticamente che questo nuovo anno in arrivo sia meno merdoso del precedente anche se tanto già so che domani sarà uguale a oggi e dopodomani a ieri e domani l'altro meno di giovedì ma più di martedì. 

E no, non vi farò nessun elenco di lamenti (tranne dirvi che per stare in tema con la merda ho scampato per un soffio di far capodanno con le emorroidi, nome che già onomatopeicamente fa rabbrividire. E non fate quelle espressioni lì che il gnao ce l'ho mica solo io) anche se so che le frigne fanno audience, perché ognuno c'ha già i propri cazzi amari a cui pensare e di solito sono più che sufficienti quelli per non aver voglia di sorbirsene altri.

E ora andate in pace.
Ci leggiamo l'anno prossimo.

Grazie anche stavolta a Comandante Amigo che mesi fa entrò in sordina per darci una mano con una scheda ed invece l'abbiamo fregato e gliele abbiamo poi fatte fare tutte. 


"La lenticchia è una pianta leguminosa nota ed utilizzata sin dall'antichità. E’ stata una delle prime piante ad essere utilizzata in agricoltura a partire dai tempi della ricca e verde Mesopotamia.

Trovo che il suo nome scientifico sia un vero e proprio invito alla cultura gastronomica slow: Lens culinaris!



Ricca di proteine e di ferro, questa leguminosa è una pianta annuale erbacea con foglie alterne, composte e pennate, terminante con un viticcio (il ricciolino terminale che troviamo ad esempio nelle viti). I fiori sono di colore bianco o azzurro pallido ed a corolla. I frutti sono baccelli appiattiti contenenti due semi che possono essere di colore diverso a seconda della varietà di lenticchia con cui abbiamo a che fare.

La produzione mondiale non è elevata ma questo prodotto è molto utilizzato in tutte le ”cucine” del mondo ed è ora coltivato nelle aree a clima temperato e non cresce praticamente più allo stato selvatico.

A livello culinario le lenticchie vengono utilizzate secche e quelle a buccia spessa devono essere tenute in ammollo prima di essere impiegate. 

A livello di territorio italiano possiamo segnalare, fra le notevoli varietà: 

lenticchia di Castelluccio di Norcia, lenticchia di Colfiorito, lenticchia di Santo Stefano di Sessanio (che non è uno scioglilingua come la parola scioglilingua ma è un piccolo paese dell’Abruzzo), lenticchia di Ustica, lenticchia di Onano e lenticchia di Rascino nel Lazio, lenticchia di Altamura, lenticchia di Villalba in Sicilia, lenticchia di Ventotene e lenticchia di Valle Agricola (che non è uno scherzo ma un comune in provincia di Caserta e comunque lì la lenticchia ci si trova bene!).

Le lenticchie, forse per la loro forma che può ricordare quella delle monete, sono associate al denaro ed alla prosperità. Per questo motivo in molte zone d’Italia durante il cenone di San Silvestro, vengono proposte in accompagnamento a cotechino o zampone per augurare a chi le consuma un nuovo anno più fortunato e ricco. 

Io quest’anno non le mangerò al cenone di fine anno perché sono ricco di famiglia e fortunato dalla nascita e non ho bisogno di altro ma soprattutto perché sono riuscito a farmele cambiare in banca con banconote di carta! 

Scherzi e bischerate a parte, auguro a tutte voi lettrici e lettori del post, un anno pieno di gioia, amore ma soprattutto ricco di salute che è poi l’elemento fondamentale per raggiungere anche le altre cose!

Poi se siete scaramantici o se volete solamente rispettare le tradizioni, le lenticchie mangiatele pure al cenone, ma cercate di mangiarle anche durante il resto dell’anno perché sono buone e fanno bene. Poi non si sa mai… dovessero davvero portare la buena suerte!"


Ecco qui la mia ricetta e qui quella di Serena

Crackers di lenticchie verdi

Ingredienti per un certo numero di crackers:

100 g di farina di lenticchie verdi
mezzo spicchio d'aglio spremuto (ho scoperto lo spremiaglio! Gioia e gaudio)
mezzo cucchiaino di semi di cumino
4 cucchiai d'olio
acqua qubi

Mischiate il tutto fino ad ottenere un composto lavorabile.
Stendetelo ad un paio di millimetri di spessore, tagliate come volete e cuocete in forno ventilato a 140° C fino a doratura (circa 20-30 min).
Se volete, accompagnatele a qualche salsa anche se mi chiedo che razza di coraggio avete dato che siete già pieni come tacchini il 4 di luglio.
Tenete conto che la farina di lenticchie è amarognola quindi questi cosi potrebbero non piacervi (avevo scritto cagare ma ho fatto un check e siamo già a un cazzo e due merde così ho pensato per il momento potessero bastare).
Però il buonumore che vi metterà addosso il cantare a squarciagola "mi ricordo lenticchie verdi" compenserà tutto il resto.

domenica 22 dicembre 2013

Green Restaurant - Starhotels Echo


Chissà perché c'è in giro l'idea che i ristoranti degli hotel non siano granché. 
Io stessa li ho sempre percepiti come appendici degli alberghi e non come luoghi di ristoro a sé stanti e di conseguenza ho sempre pensato che sarei andata a mangiarci solo se avessi dormito lì e se non avessi avuto modo di uscire perché magari fuori imperversava una tormenta di neve o l'alluvione o una grandinata o mi avessero cancellato il volo di ritorno per impossibilità di rifornire l'aereo causa attacco di fulmini.
E giuro che questa mi è successa per davvero.

E invece recentemente mi son dovuta ricredere e riflettendoci mi son resa conto di avere ancora dei pregiudizi arrivati da chissà dove e idee ferme a vent'anni fa.
Ma in effetti ho sempre saputo di esser vecchia dentro.

Tutto è cambiato quando qualche tempo fa mi ha contattato la FedeGroup chiedendomi se mi andava di provare il Green Restaurant presso lo Starhotel Echo di Milano per poi magari, se ne avessi avuta voglia, raccontare la mia esperienza.

Mh. 
Un invito a cena in cambio della mia facoltativa libera opinione. 
Mh.
La prima cosa che ho pensato è che sicuramente sotto si nascondeva 'na sola.

Quindi, dopo essermi fatta rassicurare sul fatto avrei potuto essere totalmente sincera e avrei potuto anche dire di essere stata invitata e di non essere capitata lì per caso - perchè si sa che le recensioni più fastidiose sono quelle che parlano benissimo in modo apparentemente casuale di un posto merdoso o di un prodotto scadente e poi invece salta fuori che di casuale non c'è proprio una beata mazza - ho accettato.

E il mio azzardo è stato ripagato.

Il Green Restaurant si trova in posizione tattica vicino alla stazione Milano Centrale e nonostante le zone delle stazioni solitamente siano viste con sospetto, devo ammettere che quella parte è estremamente tranquilla oltre che estremamente comoda per il centro.
E se di sera mi son sentita tranquilla io che mi cago sotto anche solo a mettere l'auto in box potete star tranquilli tutti.....

L'ingresso al ristorante non dà la percezione di entrare in un hotel ma in un locale qualsiasi.
C'è una bella hall con gigantografie verdeggianti, poltroncine e divanetti e luce soffusa.
Il ristorante è accogliente, tavoli giustamente equidistanti, luci basse ma non troppo e personale gentile. Anche con gli altri clienti. Ho controllato.
Il menù non è lunghissimo, cosa che ho estremamente apprezzato dato che tendo a diffidare dalle liste di 85 pagine con 1240 proposte, ma riesce comunque a soddisfare praticamente tutti i gusti.
Mi ha fatto piacere trovare alcune proposte di tradizione Milanese come i mondeghili, oltre al classico risotto giallo e alla cotoletta che qui viene fatta a orecchio d'elefante, alcuni piatti di stagione e alcuni piatti con prodotti del territorio come il riso della Lomellina.

Ammetto che mi sarebbe piaciuto trovarne di più e spero davvero in futuro scelgano di orientarsi quasi esclusivamente verso questa strada.

Ma questo è davvero l'unico appunto che ho, oltre ovviamente al fatto di applicare la stessa regola  anche alla carta dei vini, perché il resto è stato veramente impeccabile.





Una chicca: davanti all'ingresso del ristorante si trovano i resti della Cascina Pozzobenelli.
Di quella che era una vasta villa costruita (anche) dal Bramante nella seconda metà del XV secolo ormai rimane solo la cappella, rimasta sola soletta in un cortile triangolare in mezzo a palazzoni altissimi. Chiusa e dimenticata. Abbandonata. Come troppo spesso succede.
Ma nonostante l'ambientazione sia un po' triste, questo gioiello merita comunque un'occhiata.


Ed ora una carrellata di foto di alcuni piatti provati per farvi venire un po' di acquolina.

Petto d'anatra speziato con sformatino al parmigiano e riduzione di balsamico
Prosciutto di Parma riserva
Il Carnaroli della Lomellina con porcini e prosciutto d'oca
Costoletta di vitello alla Milanese
Tiramisù

Green Restaurant c/o Starhotels Echo
Viale Andrea Doria, 4 - Milano
Tel: 342.3198.578

sabato 30 novembre 2013

Un ingrediente per due: il porro



Leggendo e rileggendo i commenti al blog, finisco spesso col chiedermi perché io continui a faticare per far ricette e foto quando tanto qui vengon tutti solo per quello che scrivo senza cagare il resto.
E sia chiaro che la cosa mica mi dispiaccia anzi, dato che di solito il problema degli altri blog è che la gente guarda le foto senza leggere il testo e così capita che magari uno ha scritto che è devastato perché ha appena investito il suo cane in retro e i commenti sotto sono tutti un "brava, bella ricetta! Ricetta golosissima! Sembra buonissimo!"
Quindi insomma, di certo non mi posso lamentare. Anzi, in fondo questa consapevolezza riduce la mia ansia da prestazione e posso così permettermi di pubblicare post anche quando le foto fanno un po' pena o quando la presentazione non è delle migliori.

Ad esempio infatti potrebbe capitare io posti tranquillamente una ricetta ottima che sembra però un mappazzone e con una foto che ha delle dominanti strane che non riesco o non ho voglia di eliminare. 
Ogni riferimento a persone o cose......
E non è che non abbia voglia così per così, è solo che sono nuovamente a casa raffreddata e con la febbre. 
E per quanto mi piacerebbe dirvi che adoro fare e rifare le ricette finché non mi vengono perfette, che amo atteggiarmi a scrittrice di bestsellers e che adoro stare qui seduta davanti alla tastiera con la mia tazza di te fumante, la neve che cade fuori, il gatto che dorme sul divano e la musica di sottofondo, la realtà è che non ho voglia di scrivere e men che meno di rifare ravioli o sistemare foto perché mi fa mal la testa, scatarro sul monitor ogni due per tre, continuo a soffiarmi il naso e per giunta questo cazzo di te è ustionante dato che come al solito ho fatto scaldare troppo l'acqua. 
Ah, e il gatto ovviamente è un personaggio di fantasia.

E così vi prevengo e vi dico che sì lo so che la salsa ai porri è grumosa e forse pure un po' troppa, ma il frullatore che frulla bene era in lavastoviglie e così ho dovuto usare quello che frulla male e so che vi state chiedendo che se frulla male allora cosa lo tengo a fare ma io che sono la regina delle caccavelle, che peraltro dio-che-brutto-nome tanto quasi quanto caco, argomento sul quale tornerò dopo, lo tengo perché fa parte di uno di quegli aggeggi infernali tipo 4 in 1 che fanno 4 cose mediocri al posto di una bene e perché poi comunque la frutta secca per esempio la trita bene. 
Ma poi mi chiedo anche a dir la verità che cosa ve ne frega a voi di quanti frullatori io abbia e per quale motivo debba star qui a giustificarmi su quello che uso e non uso. Ma dove siamo finiti??!

Tornando al caco, non so se avete mai pensato quanto questo nome abbia penalizzato un frutto peraltro buonissimo e mi chiedo chi possa esser stato tanto simpatico da avergli affibbiato un nome così del cazzo. 
Dai, c'è gente che non mangia il caco perché si vergogna a chiederlo al fruttivendolo. 
Per non parlare poi dei suoi derivati. 
Ve lo immaginate Montersino dietro al banco della pasticceria che chiede alla sciura di turno: Signora, cosa preferisce oggi? Abbiamo una fantastica crostata ai marron glacè o la torta al CACO. Cosa sceglie? Maddai. 
Mi spiace per lui ma è un frutto troppo sfigato. Conosco gente che addirittura va avanti a ridere da sola sei ore al solo pensiero di entrare in un bar e chiedere un succo al caco. Che poi appunto, non vi siete mai chiesti come mai il succo di caco non esista? Ma ovvio, perché il nome fa cagare! Tanto che nemmeno Don Draper riuscirebbe a venderlo!
E comunque su questo argomento avrei voluto farci un post. 
Il riscatto del caco. 
E infatti tentai una torta che sulla carta sembrava molto promettente. Una roba tipo patate lesse, uova, poca farina, zucchero, cioccolato fondente e caco. Una sorta di budino da cuocere a bagnomaria che sembrava una gran figata e invece alla fine era una cacata colossale. Giusto per stare in tema.
Anche se mi sa che una grossa parte della colpa era da attribuirsi al cioccolato fondente che aveva preso prepotentemente l'aroma dell'olio essenziale di menta che sparsi tempo fa negli stipetti per tenere lontane farfalline.

E le farfalle son sì scomparse ma ogni cosa adesso sa di dentifricio. 
Pure le acciughe.
Proprio belli i rimedi della nonna. Mh.

Ma sto divagando. E' la febbre. Ne sono certa.
Quindi ora vi saluto e vi lascio al porro. Prima che sia troppo tardi.

Grazie, al solito, a Comandante Amigo.

"Il porro (Allium ampeloprasum) è un parente dell’aglio (Allium sativum) e della cipolla (Allium cepa)?
Bè, a leggere i  nomi scientifici di questi ortaggi, direi di si! E anche pensando al profumo ed alla capacità di fare lacrimare i nostri occhi…
Il porro è una pianta erbacea biennale, coltivata però a ciclo annuale, monocotiledone (cioè con una sola foglia embrionale all’interno del seme) di origine mediterranea e di cui si utilizzano in ambito culinario le parti terminali delle foglie (la parte bianca) e il piccolo fusto al quale le foglie sono attaccate, che altro non è in questa pianta che un ridotto disco da cui si diramano le radici che invece vengono eliminate prima dell’utilizzo. Il fiore biancastro è ombrelliforme e si origina nel secondo anno di vita.

Esistono molte varietà di porri coltivati nel nostro paese e queste sono classificate in base alla lunghezza del "fusto" e in base all'epoca di produzione.
La tecnica di coltivazione del porro prevede solitamente la semina in vivaio e il successivo trapianto in pieno campo quando le piante hanno raggiunto un’altezza di circa 20-25 cm. Difficilmente si effettua la semina diretta poiché è più difficile controllare le infestanti e perché si ottengono porri di differente pezzatura. Le varietà precoci vengono trapiantate a densità a mq maggiore, mentre per le varietà tardive la densità a mq decresce per facilitare il rincalzo che è quella tecnica che consente di aumentare la parte bianca dell’ortaggio e la resistenza al freddo.
La raccolta avviene quando la dimensione dell’ortaggio in termini di diametro raggiunge i 2/3 cm e ciò avviene solitamente dopo 3/4 mesi dal trapianto e dopo la raccolta vengono eliminate le foglie più esterne, quelle più dure, mentre le altre vengono tagliate una quindicina di cm sopra il termine della parte bianca. Il porro, pulito, si conserva facilmente in frigorifero anche per più di un mese.

Tra le varietà di porro presenti in Italia vale la pena ricordare quella di Cervere, un piccolo paese della provincia di Cuneo, dove annualmente in novembre si tiene la fiera dedicata a questo ortaggio. Dal sito web dedicato a questo porro si evince che la combinazione tra il terreno particolare dove si coltiva (limo, sabbia fina e calcare, combinazione abbastanza rara in natura) e il microclima con luminosità buona ma non violenta, permette di ottenere porri assai lunghi e teneri con basso contenuto in lignina e cellulosa (sostanze difficilmente digeribili almeno che voi non siate dei ruminanti!). Il fatto che il Porro di Cervere è più tenero, più dolce e più digeribile è da imputare quindi alle caratteristiche pedoclimatiche del sito ove viene coltivato.


Per finire una curiosità: l’imperatore Nerone (quello che forse diede fuoco a Roma per potersi costruire la Domus Aurea) veniva chiamato porrofago perché era un grande mangiatore di porri che utilizzava per schiarirsi la voce… ecco perché nei suoi ultimi anni di vita, prima di essere deposto e di suicidarsi, si ritirò con le sue paranoie nei palazzi per dedicarsi all’arte e alla musica… e chi gli stava più vicino!"

Ecco qui la mia ricetta e qui quella di Serena:

Ravioli alla burrata e porri

Ingredienti per 4 persone:
150 g di semola di grano duro
150 g di farina 0
3 uova
una decina di pistilli di zafferano
un pizzico di sale
olio extravergine
500 g di burrata
2 porri medi

Preparate la pasta come al solito mischiando uova e farina e un cucchiaio d'olio. Giusto per questa volta pestate in un mortaio lo zafferano con un cucchiaio d'acqua calda fino a farlo sciogliere ed aggiungetelo all'impasto. Fate una palla e fate riposare per una mezz'ora.
Stendete sottilissimamente la pasta del tipo che la sfogliavelo Rana ci fa na pippa, fate dei tondi o quello che volete, riempite con un cucchiaino di burrata che avrete preventivamente tagliuzzato grossolanamente al coltello, chiudete, schiacciate bene i bordi e cuocete per un paio di minuti in acqua bollente.
Per la salsa ai porri sminuzzate la parte bianca con quasi tutta la parte verde, avendo cura di tenere da parte un paio di foglie interne che faremo seccare in forno ma che vi spiegherò dopo che sennò qui diventa un casino, e fatela appassire in padella a fuoco minimo con un paio di cucchiai d'olio.
Quando il porro sarà bello morbido frullatelo con un goccio d'acqua e un goccio d'olio crudo con un frullatore che funzioni bene fino ad ottenere una salsa liscissima che andrete a spiattellare a specchio sul fondo dei piatti.
Tagliate sottilmente le foglie che avete tenuto da parte, conditele con sale e poco olio e fatele seccare in forno a 140° C fino a quando diventeranno belle croccanti, avendo cura di controllarle spesso che bruciano in un attimo e poi ciao.
Scolate i ravioli e passateli un secondo in padella con poco olio per farli asciugare e assemblate il piatto.
PS la burrata può essere sostituita con la bufala ma non è una grande idea perchè rimarrà leggermente gommosa.